Il caso del diciassettenne Ali Mohammed al-Nimr si trova  a fatica sulla Rete, anche sui siti sempre aggiornatissimi dei paesi anglofoni che spesso riportano violazioni dei diritti umani. Ci si imbatte in questa storia tramite i social network, grazie a qualcuno capace di riprendere sperduti siti ad esempio australiani. Il ragazzo è stato arrestato nel febbraio del 2012 in seguito a una manifestazione in cui alcune persone protestavano per la persecuzione politica dello zio di Ali Mohammed al-Nimr, anche lui condannato a morte. Una delle tante manifestazioni che vengono immediatamente represse e tenute nascoste in Arabia Saudita a favore della democrazia. Il ragazzo viene accusato di manifestazione illegale e non meglio precisato possesso di armi da fuoco, furto di armi e minacce ai pubblici ufficiali. Rinchiuso in un carcere minorile, di lui si saprà molto poco come tipico dei carceri sauditi, se non che viene sistematicamente torturato per obbligarlo a firmare una dichiarazione in cui si auto accusa. La condanna è inevitabile e arriva nel maggio 2014: decapitazione e successiva crocifissione ad esempio di tutti. Ogni richiesta di appello è stata respinta senza che nessun avvocato o familiare abbia potuto assistere ai procedimenti. La crocifissione nei paesi islamici non ha niente a che vedere con quella di Gesù, è solo il metodo che usavano anche gli antichi romani ad esempio perché i colpevoli venissero mostrati a tutti. Il corpo mozzato di Ali Mohammed al-Nimr sarà dunque esposto con una pratica a dir poco barbara. Non è una novità per un paese che è strettissimo alleato politico, militare ed economico dell’occidente, che mette in pratica la sharia esattamente come i criticati terroristidello Stato islamico. Tra il 1985 e il 2013 2mila persone sono state giustiziate con la decapitazione in Arabia Saudita in seguito a processi di cui si è sempre saputo quasi nulla.



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