BUDAPEST — Caos a Budapest, caos a Bruxelles. Questa è la convinzione del governo e anche della maggior parte del popolo della rete in Ungheria. Sono passate solo poche settimane da quando la Cancelliera tedesca Angela Merkel disse a una bambina palestinese in una trasmissione televisiva: “Non potete venire tutti qui”, facendola piangere e suscitando l’indignazione generale. Da allora l’emergenza migrazione si è aggravata in un modo vorticoso in tutto il territorio dell’Unione Europea.



A Budapest la situazione è diventata insostenibile. Alla stazione Keleti (che significa “Orientale”, ma che in questi giorni è stata soprannominata “mediorientale”) martedì la polizia ha sbarrato l’ingresso ai migranti sempre più numerosi, facendo partire solo i treni internazionali e locali, assicurando il traffico regolare. Mercoledì mattina un’altra stazione ferroviaria della capitale magiara è stata presieduta dalla polizia per la protesta di un gruppo di richiedenti di asilo che si rifiutava di recarsi al centro d’identificazione di Debrecen, città vicino alla frontiera orientale dell’Ungheria. 



La polizia ungherese in una nota del 1° settembre ha affermato che l’Ungheria continua ad applicare le norme del codice comunitario relativo al regime di attraversamento delle frontiere, quelle stesse norme che richiedono agli extracomunitari che vogliano muoversi all’interno dell’area Schengen di avere un passaporto e un visto.

La situazione in Ungheria è diventata particolarmente confusa dopo l’ultimo annuncio della Cancelliera tedesca, “accoglieremo tutti i siriani”. Con questa sua dichiarazione ha archiviato in parte il Trattato di Dublino, senza però sospenderlo del tutto e creando di fatto una situazione ancora più confusa. Questo significa che tutti i migranti che arrivano in Ungheria devono registrarsi sul suo territorio e cominciare — lì e non altrove — la procedura di richiesta d’asilo. 



Ciò non ha impedito che in Baviera arrivassero nei giorni scorsi 3.500 richiedenti asilo dall’Ungheria. Secondo Joachim Herrmann, ministro dell’Interno della Baviera, i migranti hanno malinteso la decisione delle autorità tedesche secondo la quale non si sarebbero rimandati indietro i siriani nel paese per il quale sono entrati in territorio Ue. Così il ministro bavarese, nell’intervista rilasciata al giornale Passauer Neue Presse, ha rilevato che bisogna aiutare l’Ungheria e impedire che altri migranti partano dal paese verso la Germania.

Domani pomeriggio i premier di quattro paesi dell’Europa centrale — Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria — si riuniranno a Praga in un summit straordinario. L’alleanza dei quattro paesi, il Gruppo di Visegrád, si è costituita dopo la caduta del sistema comunista nel 1991 in Ungheria. Lo scopo dell’incontro è di elaborare una politica d’immigrazione comune per i quattro paesi, ha detto lunedì Bohuslav Sobotka, primo ministro della Repubblica Ceca, presidente di turno del V4. Alla fine della riunione i primi ministri hanno intenzione di rilasciare una dichiarazione congiunta. Con molta probabilità, affermeranno tra l’altro che sono favorevoli all’intensificazione della difesa delle frontiere esterne della zona Schengen. Sobotka ha anche lasciato intendere che il gruppo di Visegrád rifiuta unanimemente la ridistribuzione dei migranti in quote obbligatorie.

Intanto, a Budapest la gente si pone molte domande. Perché i media occidentali parlano sempre del “muro ungherese”, quando alla frontiera dell’Ungheria con la Serbia c’è una barriera di filo spinato in tutto simile a quella che c’è in Macedonia, in Grecia, in Bulgaria? La Spagna si è costruita uno sbarramento molto più alto e solido. Perché ci dipingono come la pecora nera dell’Unione, quando nella “giungla” di Calais la situazione è molto più drammatica da tanto tempo?

Londra non fa attraversare il tunnel, anzi vuole abolire il Trattato di Schengen e vietare la libera circolazione dei cittadini dell’Unione, mentre in Ungheria viene applicato il regolamento di Schengen per la difesa della frontiera dell’Unione. Con quale criterio ci condanna il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius, quando la Francia blocca la frontiera a Ventimiglia? Perché l’Ungheria dovrebbe essere sanzionata solo perché difende le sue frontiere e quella dell’Unione?

Nonostante il flusso straordinario di questi giorni, non manca la solidarietà dei cittadini comuni, delle associazioni, dei volontari, delle diverse chiese. Continuano a portare cibo e articoli di prima necessità, specialmente alle famiglie con bambini. Certamente le belle iniziative non possono soddisfare le necessità moltiplicatesi all’improvviso. Dall’altra parte cresce anche la paura. Come si andrà avanti quando fra un po’ finirà il caldo eccezionale di quest’estate? Dove andranno i migranti che ormai ogni giorno arrivano in diverse migliaia? Come può affrontare l’Ungheria un’invasione del genere con i suoi dieci milioni di abitanti su una superficie di 93mila chilometri quadrati? 

Esattamente come in Italia, c’è la stessa paura della delinquenza, della diversità di cultura e di religione. Il premier Orbán anche recentemente ha affermato che “l’Ungheria non vuole correre i rischi del multiculturalismo” che cinque anni fa è stato dichiarato dalla Cancelliera Merkel “un totale fallimento”, concetto ribadito anche dal premier britannico Cameron. Loro però non sono stati “sanzionati”. 

In rete circola un video ripreso alla frontiera macedone e postato il 29 agosto, dove si vede un gruppo di uomini che da dietro una barriera di filo spinato protesta furiosamente e caccia via gli agenti della polizia macedone, che portano i viveri in scatole della Croce Rossa. I migranti — che sfuggono dalla guerra, dalla fame — preferiscono non mangiare, perché appunto il cibo non è halal (“lecito”, ndr). Quel gruppo di persone negli ultimi giorni ha già varcato il confine serbo-ungherese. 

E’ da segnalare anche la sofferenza degli abitanti della frontiera che si estende sulla Grande Pianura ungherese. Lì, attraverso campi sterminati, può entrare chiunque. Infatti, negli ultimi mesi i clandestini hanno distrutto i frutteti e le coltivazioni di grano e mais. I migranti occupano le case di campagna, scavalcano i cancelli, gli abitanti si trovano all’improvviso di fronte ad un gruppo di africani o asiatici che secondo le testimonianze entrano nelle case e allora diventa molto difficile rioccupare gli spazi propri. Cosa dovrebbe fare, di conseguenza, uno Stato? E’ ragionevole aspettarsi che questa domanda cominci a circolare anche in quei governi i quali fino a ieri hanno pensato che i migranti fossero solo un problema degli “altri”.