“Gli immigrati sono una risorsa per l’Italia, ma un’integrazione positiva è possibile solo a condizione di un loro graduale assorbimento nel tessuto sociale del Paese. Le grandi ondate di arrivi come quelle cui stiamo assistendo rischiano di rompere un delicato equilibrio”. A spiegarlo è Gian Carlo Blangiardo, docente di Demografia all’Università di Milano-Bicocca. Per il 14 settembre è stato convocato un vertice d’emergenza a Bruxelles, cui parteciperanno i ministri degli Interni e della Giustizia dei 28 Paesi Ue. Ieri sono scoppiati tafferugli su un treno carico di migranti partito da Budapest e diretto alla frontiera austriaca. Gli agenti hanno cercato di fare scendere quanti non avevano i documenti, ma questi ultimi si sono rifiutati e ne sono nati dei tumulti. Intanto si parla di 5 milioni di profughi che arriveranno in Europa dalla Siria nei prossimi mesi.
Che cosa vuol dire per l’Europa affrontare una migrazione dalle proporzioni imponenti come quella attuale?
In primo luogo bisogna vedere se sia vero che sono in arrivo 5 milioni di siriani, tenuto conto che la popolazione complessiva della Siria è di 23 milioni di persone. Anche se è un dato di fatto che i 400mila migranti giunti in Europa negli ultimi otto mesi hanno creato tutta una serie di problemi. La vera questione è l’impatto psicologico per la popolazione che rischia di portare a una generalizzazione della famosa “sindrome da invasione”. Quest’ultima induce la gente a non riflettere più in modo razionale e a sentirsi assaltata.
C’è il rischio che Ue e Germania rispondano all’emergenza migranti in modo dirigistico, imponendo le loro scelte ai singoli Stati?
Quando si parla di emergenza migranti non si può imporre nulla a livello centralistico. La sovranità dei singoli Stati fa sì che non si possano ingiungere determinate scelte dall’alto. In secondo luogo non si può valutare in quale misura uno Stato come l’Ungheria o l’Italia abbiano delle condizioni che si prestano più o meno a portare avanti il tipo di progetto pensato a livello centrale.
Perché ritiene che una soluzione uguale per tutti non sia adeguata?
Quando si tratta di migranti, si parla di distribuire sul territorio un contingente di esseri umani e farlo entrare in rapporto con degli altri esseri umani. I problemi dei migranti sono gravi e importanti, ma ci sono anche delle difficoltà da parte di quanti li ricevono. Il contesto e la stessa tradizione culturale non sono uguali in tutta Europa. Va chiarito quindi in quale misura queste condizioni rendano accettabile l’assegnazione delle quote.
Come si spiega l’ostilità con cui i Paesi dell’Est Europa vedono le quote?
I Paesi dell’Est sono in subbuglio perché temono di innescare una guerra tra poveri al loro interno. Si tratta spesso di popolazioni che faticano a vivere una transizione iniziata qualche decennio fa e contrastata dalla crisi. Proprio per questo fa tanta pausa l’idea che arrivino altri poveri i quali si aggiungano ai locali e diventino competitivi. L’anno scorso mi sono recato a Budapest, e nel centro ho notato file di signori di una certa età che raccoglievano i mozziconi di sigarette dalla spazzatura e poi li fumavano. E’ l’emblema della povertà di un Paese come l’Ungheria.
Per un Paese vecchio come il nostro, gli immigrati possono consentire al nostro sistema previdenziale di restare in piedi?
E’ un dato di fatto che gli immigrati sono una risorsa in quanto versano in tasse più di quanto ricevono. Molte di queste persone però una volta diventate anziane resteranno in Italia e riceveranno la pensione. Il loro contributo è importante anche in alcuni settori del mercato del lavoro, ma non si può pensare che le seconde generazioni di immigrati continuino a svolgere i lavori più pesanti e sottopagati.
Secondo il ministro Padoan, gli immigrati sono una risposta al declino demografico dell’Italia. E’ davvero così?
Il ministro Padoan dovrebbe ragionare in modo meno strumentale. C’è un contributo dell’immigrazione alla demografia italiana, ma non è un contributo risolutivo. Gli 80mila bambini figli degli immigrati non sono il modo attraverso cui raddrizzare la demografia italiana.
Perché?
Perché la fecondità degli immigrati, pur essendo più alta di quella degli italiani, è andata comunque riducendosi nel tempo. Nell’arco di cinque anni, da 2,5 figli per donna siamo scesi a poco meno di due. Non si può pensare che gli immigrati continuino indefinitamente ad avere alti livelli di natalità, perché prima o poi si adatteranno anche loro e alla fine il contributo sarà decisamente modesto.
Di quanti immigrati ci sarebbe bisogno in Italia per coprire il nostro gap demografico?
In Italia oggi nascono 500mila bambini l’anno, mentre per garantire la crescita zero della popolazione italiana ce ne vorrebbero 700mila. Mancano 200mila bambini, ma i 5 milioni di immigrati ne fanno solo 80mila. In teoria per raggiungere quota 200mila bambini ci vorrebbero 14 milioni di stranieri. Ciò però creerebbe degli scompensi di altra natura.
Quali scompensi?
Agli immigrati vanno dati anche lavoro, casa e assistenza. Abbiamo però un esercito di italiani indigenti che a quel punto potrebbero recriminare. Sarebbe molto semplice istigare questi soggetti ricordando loro che la presenza straniera riduce le risorse, e quindi le sottrae ai lavoratori poveri italiani. Sono discorsi che saranno tanto più accreditati, quanto più ci saranno argomentazioni e numeri a sostegno di questa ipotesi.
Gli immigrati sono una risorsa, o qualcuno che sottrae le risorse stesse agli italiani
In teoria sono entrambe le cose, ma a contare è soprattutto il ruolo attribuito agli stessi immigrati in relazione a noi. Per esempio una badante straniera dà un grosso contributo a una famiglia, e quindi svolge un lavoro molto utile per la società. Nello stesso tempo la badante è a carico del sistema sanitario, e siccome il suo indice Isee è basso gode di una serie di altri benefici.
E quindi?
Per la famiglia dell’anziano assistito la badante è quindi una risorsa, ma un italiano sfrattato che vorrebbe accedere ad alloggi convenzionati vede soltanto il bicchiere mezzo vuoto legato alla presenza degli immigrati. Proprio per questo è importante evitare le situazioni che creano poi contrasto e contrapposizione tra le parti. Ma questo è tanto più difficile quanto più i numeri degli immigrati vanno crescendo.
Da che cosa dipende che la presenza degli immigrati sia o meno un bene?
Dipende da un processo di integrazione tra italiani e stranieri nel quale stiamo assistendo anche a dei buoni risultati. E’ però un equilibrio delicato, ed è tanto più delicato quanto più si gioca su grandi numeri. Soprattutto un’ondata improvvisa di arrivi crea maggiori difficoltà. Se invece queste dinamiche sono più graduali e quindi consentono al tessuto sociale di metabolizzare la progressiva evoluzione, ciò è accolto in modo più favorevole da parte della popolazione autoctona. Si crea quindi un’interazione positiva che gratifica gli stessi stranieri, e tutto si muove nella direzione giusta. Bisogna però lavorare con numeri che siano sostenibili rispetto al contesto in cui si colloca l’immigrazione.
(Pietro Vernizzi)