Il premier designato del nuovo governo libico di unità nazionale, Fayez al-Sarraj, sabato è stato vittima di un attentato dal quale però è uscito illeso. L’agenzia egiziana Mena ha riportato che il convoglio presidenziale che trasportava al-Sarraj è finito sotto il tiro di armi da fuoco poco prima di giungere nella città di Misurata. Il ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni, ha però cercato di minimizzare la portata di quanto è successo. Venerdì alcuni jihadisti con le bandiere nere dell’Isis avevano colpito in un resort a Hurgada, città egiziana sul Mar Rosso. Ne abbiamo parlato con Fausto Biloslavo, inviato di guerra de Il Giornale.



Che cosa ne pensa di quanto accaduto al premier libico al-Serraj?

Si tratta di un attentato in piena regola. Il governo libico non è ancora nato e ha già subito un attentato nella persona del premier in pectore. Lo leggo quindi come un disastro annunciato. Soprattutto l’Italia aveva puntato molto su questo nuovo governo. Non penso però che l’esecutivo di al-Sarraj avrà la forza di insediarsi a Tripoli e di risolvere i problemi della Libia. Forse sarebbe stato meglio puntare su un intervento internazionale contro le bandiere nere.



Finché non c’è un accordo tra le potenze regionali dell’area, un governo di unità nazionale libico è in grado di durare?

Anche grazie all’aiuto della diplomazia italiana, le potenze regionali erano d’accordo su questo governo di unità nazionale. Io sospetto che il vero motivo fosse che sapevano che questo governo nasceva già morto, come dimostrano anche tragicamente gli spari contro al-Sarraj.

Senza un governo di unità nazionale, come si poteva configurare un intervento italiano?

La minaccia più grave per gli interessi dell’Italia sono le bandiere nere che marciano sui gangli delle risorse energetiche libiche. Queste infrastrutture tra l’altro erano state realizzate grazie a investimenti italiani. Dobbiamo fermare l’Isis a qualunque costo, dopo di che i libici decideranno che cosa fare del loro Paese. Le bandiere nere vanno annientate, e per raggiungere questo obiettivo si possono utilizzare gli alleati locali. Bisogna mettersi d’accordo con il meno peggio, come le milizie di Misurata, con l’unico obiettivo di estirpare l’Isis dalla Libia.



Che cosa ne pensa invece dell’attentato dell’Isis a Hurgada, in Egitto?

In questo caso ho l’impressione che si tratti di terroristi fai-da-te, un po’ come quello di Parigi che venerdì si è andato a fare uccidere davanti a un commissariato. Se fosse stato un commando come quello della carneficina del 13 novembre, la dinamica sarebbe stata molto diversa. Si tratta di persone che seguono l’appello di al-Adnani, portavoce dell’Isis, che ha invitato ad attaccare e ammazzare gli infedeli in qualsiasi maniera, anche con i coltelli. Azioni di questo tipo non sono compiute dai veterani del califfato, eppure tutti i giornali del mondo ne parlano.

 

L’Isis colpisce anche perché si sente messa ai margini in conseguenza del conflitto tra Iran e Arabia Saudita?

No, anzi lo scontro tra Iran e Arabia Saudita è la moltiplicazione del ruolo dell’Isis che continua a mantenere uno dei suoi maggiori obiettivi strategici, quello cioè di sterminare gli sciiti. Finché lo fa un gruppo terroristico sia pur ampio però è un conto. Quando invece cominciano a scendere in campo Stati come Arabia Saudita e Iran, la situazione diventa molto più pericolosa. Quella cui ci troviamo di fronte è la terribile e pericolosissima amplificazione delle guerre asimmetriche in corso in Siria e Iraq.

 

(Pietro Vernizzi)