L’eccidio compiuto dall’Isis in Siria a Deir al-Zour ha oscurato il sanguinoso attacco di al Qaeda nella capitale del Burkina Faso, smentendo apparentemente chi interpretava gli attacchi in Francia come prove di debolezza del califfato in Siria ed Iraq. Deir al-Zour è una importante città nella Siria orientale, nota per essere stata uno dei punti terminali della deportazione degli armeni ad opera dell’Impero ottomano, nei cui campi di concentramento sono state uccise decine di migliaia di sopravvissuti alla “marcia della fame”. Il mausoleo che ricordava questi avvenimenti è stato fatto saltare dall’Isis nel settembre 2014, in uno degli attacchi per impadronirsi della città, punto di collegamento tra la capitale dello stato islamico, Raqqa, e le zone occupate dal califfato in Iraq.



L’Isis è riuscita ad occupare i dintorni e buona parte della città, sottraendola a gruppi ribelli e ai governativi, che però hanno mantenuto il controllo di alcuni sobborghi e dell’aeroporto.  Le notizie su quest’ultimo attacco sono discordanti e vanno da 150 uccisi, militari e loro famiglie, secondo fonti locali ai circa trecento riportati da fonti vicine al governo di Damasco. Inoltre, sembra che 400 civili siano stati sequestrati dai miliziani islamici.



I civili nelle aree sotto assedio dell’Isis sono ridotti in gravissime condizioni e si parla di diversi casi di morti per fame, per cui i russi hanno cominciato a paracadutare soccorsi umanitari in queste zone. E’ una tragedia che si ripete in altre parti del Paese, in cittadine e villaggi assediati da ribelli o da governativi, come a Madaya in cui 40mila persone sono a rischio a causa dell’assedio delle forze governative. Secondo Medici senza Frontiere, che qui gestiscono un ospedale, vi sono già state decine di morti per fame, malgrado negli scorsi giorni siano stati fatti passare dei convogli con aiuti umanitari.



Le potenze che dovrebbero riunirsi il 25 di gennaio per discutere della situazione siriana non hanno bisogno di ulteriori prove sulla necessità di arrivare molto rapidamente ad un accordo, sia pure per un semplice cessate il fuoco tra ribelli e governativi, per portare sollievo alle loro martoriate popolazioni e isolare gli estremisti. I lunghi anni di guerra civile hanno dimostrato come Isis e al-Qaeda siano nemici di entrambi i fronti siriani e ogni possibile soluzione passi attraverso un qualche accordo tra il governo di Damasco e i ribelli che non si riconoscono nelle due organizzazioni citate.

La situazione generale della regione dovrebbe spingere le potenze globali, Stati Uniti e Russia, e quelle locali, Arabia Saudita, Turchia e Iran, a ritenere un accordo sulla Siria più vantaggioso che continuare in una disastrosa guerra per procura sul territorio siriano. Isis e al Qaeda, alleandosi tra loro o combattendosi a seconda delle convenienze, costituiscono una minaccia pericolosissima per tutte le parti in causa. 

Isis in particolare è riuscita a far convivere la capacità di stabilire strutture statali su un dato territorio e la presenza in altre regioni anche lontane, con la prospettiva di costruire anche qui strutture statali in qualche modo collegate tra loro. E’ quanto sta cercando di fare in Libia direttamente o, attraverso Boko Haram, in Nigeria ed è la principale differenza con al Qaeda.

La conclusione dell’accordo con Teheran sul nucleare e la cancellazione delle sanzioni cui si è dato inizio domenica sono stati accolte con decisa irritazione da Arabia Saudita e Israele e con qualche preoccupazione dalla Turchia. Tali reazioni partono da ragioni anche oggettive, dalla scarsa fiducia nelle reali intenzioni iraniane (Israele), alla questione petrolio (Arabia e Stati del Golfo), al conflitto sunniti-sciiti e all’egemonia regionale (Arabia e Turchia). Tuttavia, il perdurare o l’aggravarsi dei conflitti tra i tre Stati non servirebbe a nessuno, peggiorando le situazioni interne di Arabia e Turchia, meno solide di quanto appaiano, e dando più vigore alle forze conservatrici iraniane contrarie alle aperture del presidente Rohani.

Per l’Occidente (e Israele), un Iran riportato nella comunità internazionale non sembra più pericoloso di un Iran isolato e in mano all’estremismo religioso. Se non altro perché il primo ha bisogno di aumentare i rapporti economici con il resto del mondo per risollevare la propria economia e mantenere l’ordine interno, come stanno già dimostrando le ipotesi di accordi miliardari, per esempio con il consorzio europeo produttore degli Airbus. 

L’Isis ha reso evidente la sua posizione di fondo, “o con me o contro di me”, essendo “contro” per definizione tutti i non musulmani e gli “eretici” sciiti, cui si aggiungono i sunniti che si oppongono alle sue mire. Le organizzazioni raggruppate sotto l’etichetta al Qaeda sembrano per il momento voler concentrarsi su operazioni terroristiche in Paesi che considerano importanti ai loro fini. In questo quadro si inseriscono gli eventi di Ouagadougou, definiti da al Qaeda una rappresaglia per gli interventi francesi in quella parte dell’Africa. La Francia ha una significativa presenza militare in quella regione con la cosiddetta operazione Barkhane, diretta a combattere la presenza di al Qaeda e altre bande armate formatesi dopo la dissoluzione della Libia di Gheddafi. Al Qaeda del Maghreb islamico (Aqmi) è particolarmente attivo in Mali e Niger, dove altrettanto attiva è la presenza francese, e nella liberazione degli ostaggi dell’albergo di Ouagadougou hanno preso parte forze speciali sia francesi che americane, altra discreta presenza nella regione.

Accanto al Medio Oriente, anche l’Africa sub sahariana sta diventando una minacciosa polveriera.