Il ministro degli Interni della Tunisia ha annunciato un coprifuoco nazionale in risposta alle proteste sulla disoccupazione, affermando che a essere in gioco è la sicurezza nazionale. Il coprifuoco è iniziato venerdì notte in conseguenza degli “attacchi alla proprietà pubblica e privata”. Le manifestazioni erano iniziate nella città settentrionale di Kasserine e si sono diffuse in altre città del Paese. Secondo l’Ocse, oltre un terzo dei giovani tunisini sono disoccupati, con il 62% dei neo-laureati che sono senza un lavoro. Abbiamo chiesto un commento a Margherita Boniver, ex ministro del Turismo ed ex sottosegretario per gli Affari esteri.
Qual è la vera radice dei problemi che stanno scatenando le proteste in Tunisia?
La radice è semplicissima: l’economia è al collasso. In Tunisia c’è stato un crollo verticale del turismo dovuto innanzitutto alla cosiddetta Primavera araba e poi agli attacchi terroristici. Il turismo è una fonte di guadagno indispensabile per un Paese che per il resto produce solo polifosfati e ha un po’ di agricoltura. I due peggiori nemici del turismo sono instabilità e terrorismo, due fattori che oggi, in Tunisia, si sono combinati insieme. Quei flussi di milioni di europei e non solo che andavano nelle splendide località turistiche della Tunisia oggi non ci sono più.
La Tunisia è un Paese moderato, che però finora ha fornito 6mila uomini all’Isis. Perché questa contraddizione?
E’ una contraddizione soltanto in parte, e che si spiega facilmente con l’altissima disoccupazione giovanile. I reclutatori dell’Isis hanno buon gioco nei confronti di giovani e giovanissimi arabi disoccupati, che si vedono anche sbarrato l’ingresso in Europa perché si dà la precedenza ai profughi siriani. L’Isis dà a questi giovani un ricco stipendio e promette loro il Paradiso.
A cinque anni dall’inizio della Primavera araba, la Tunisia è ancora al punto di partenza?
No, non è così. In Tunisia è stata eliminata una dittatura familistica. Ad avvicendarsi nelle stanze del potere in Egitto era già pronto il figlio di Mubarak. Anche in Tunisia, quella di Ben Alì era una famiglia famelica pronta a spartirsi definitivamente le spoglie economiche del Paese. Dopo la ribellione del 2010-2011, oggi la Tunisia è considerata un faro di moderazione e può contare su un equilibrio politico fragile ma abbastanza trasparente.
La Tunisia è realmente una democrazia?
Le ultime elezioni presidenziali del 2014 si sono svolte in una situazione di trasparenza e tranquillità. Dal punto di vista istituzionale non ci si può che congratulare con i tunisini. Certo è che l’Ue potrebbe fare immensamente di più per aiutare quei Paesi amici come la Tunisia, che hanno attraversato grandi difficoltà e che sono lasciati soli a combattere contro lo jihadismo.
Che cosa potrebbe fare l’Ue per la Tunisia?
L’Ue può impegnarsi dal punto di vista del commercio, dello sviluppo economico del Paese, dei corsi di formazione, dei flussi regolati di giovani tunisini che possono venire a studiare e a lavorare in Europa. Su ciascuno di questi fronti potremmo fare molto di più di quanto si è fatto finora.
Perché la Tunisia attraversa questo travaglio mentre la vicina Algeria è uno dei Paesi più stabili dell’area?
E’ una differenza che ha a che fare con la buona leadership del presidente algerino Abdelaziz Bouteflika. Quest’ultimo si è rivelato un leader molto efficace e capace, perlomeno dal punto di vista della stabilità del Paese. A differenza di Egitto e Tunisia, in Algeria ci sono stati quasi 300mila morti nel corso della guerra civile tra 1991 e 2002, e quindi il Paese ha già pagato il suo tributo di sangue.
(Pietro Vernizzi)