Il trattato di Schengen risale ormai a quasi 30 anni fa. Era infatti il 1985 quando si iniziò a lavorare alla stesura di questo importante documento internazionale che avrebbe cambiato la gestione delle frontiere in Europa. L’accordo prende il nome dalla cittadina di Shengen, in Lussemburgo, dove fu firmato il trattato il 14 giugno del 1985. L’obiettivo dell’accordo era quello di eliminare i controlli alle frontiere comuni, rendendo sempre più libera la circolazione negli Stati firmatari. Nel 1990 fu firmata poi la convenzione attuativa dell’accordo e pian piano andarono ad aggiungersi i diversi Stati. L’effettiva attuazione per ognuno di essi di quanto previsto dal trattato rimase sempre legata alla messa in pratica di precise normative. Per tale ragione l’effettiva entrata in vigore avvenne sempre a distanza di qualche anno per ciascuno degli stati membri. Ad essere coinvolti in un primo momento erano sia alcuni stati firmatari rientranti nell’Unione Europea sia altri Stati esterni, nel dettaglio Islanda, Norvegia, Svizzera e Liechtenstein. Con il successivo Trattato di Maastricht, poi, quegli stessi accordi sarebbero stati integrati nel Trattato sull’Unione Europea. Gli Stati europei che hanno preferito invece rimanere fuori dal trattato sono l’Irlanda e il Regno Unito.
Il numero totale degli Stati coinvolti è 26, che sale a 29 considerando anche il Principato di Monaco, San Marino e Città del Vaticano, che sono rientrati in Schengen rispettivamente insieme alla Francia e all’Italia. Vi sono infine quattro Stati, Bulgaria, Croazia, Romania e Cipro, che pur avendo sottoscritto gli accordi restano per ora in standby, in attesa che gli stessi si mettano in regola e che si possano dunque eliminare anche per essi i controlli di frontiera.
Il trattato di Schengen è entrato in crisi per via delle problematiche legate all’immigrazione e al terrorismo che in questi ultimi anni stanno sconvolgendo l’Europa. Per questo alcuni degli Stati membri hanno già deciso di optare per una momentanea sospensione, come è accaduto di recente alla Svezia, alla Germania, alla Danimarca e soprattutto alla Francia in seguito agli attentati del 13 novembre verificatisi a Parigi. Il timore è che gli stessi terroristi possano trovarsi a poter circolare liberamente da uno Stato all’altro, muovendosi indisturbati all’interno dell’Europa. Il congelamento momentaneo di Schengen è finalizzato anche al controllo dell’immigrazione e addirittura alcuni Paesi sono arrivati a chiederne una sospensione più lunga, che si estenda per almeno due anni. Del resto una clausola stessa del trattato prevede questa possibilità in caso di esigenze particolari che la giustifichino. Di parere contrario sono invece altri Stati, come i Paesi dei Balcani Occidentali, che chiedono una politica unitaria da parte dell’Europa e non la semplice dissoluzione di Schengen, che creerebbe soltanto danni. Ad essere danneggiata, secondo i nostri vertici, sarebbe anche l’Italia stessa, in quando le frontiere marittime resterebbero comunque aperte e l’arrivo degli immigrati dunque non si fermerebbe affatto, anzi andrebbe a diventare addirittura più consistente. Una delle possibili soluzioni sarebbe quella di organizzare un sistema di controlli più efficienti alla frontiera stessa dell’Europa, in modo tale da aumentare il livello di sicurezza all’interno dei suoi confini e dunque dei singoli Stati. Ci si chiede ora se la crisi di Schengen e le numerose sospensioni del trattato porteranno in sostanza alla fine dell’Unione Europea. Indubbiamente la libera circolazione delle persone da uno Stato all’altro è uno degli elementi fondanti dell’Unione Europea. Mettere fine a tale libertà significherebbe in un certo qual modo ridurre il significato dell’Unione stessa. Recuperando i confini nazionali e reintroducendo i controlli di frontiera infatti, si tornerebbe indietro di anni rispetto ai notevoli passi avanti che sono stati compiuti finora.
Cosa resterebbe dell’Europa se venisse meno il trattato di Schengen? Probabilmente l’unico elemento di unità sarebbe la moneta. Per il momento le sospensioni che i diversi Stati hanno deciso di effettuare per recuperare una forma più completa di controllo sui propri confini sono momentanee, ma la cosa grave è che non si esclude affatto che le stesse possano diventare addirittura definitive. L’Europa dunque dovrebbe porre fine alla sua esperienza unitaria? Gli esperti ritengono che anche questa soluzione sarebbe di difficile realizzazione. Non si può pensare infatti di porre fine all’Unione Europea di punto in bianco. Ormai dal punto di vista economico gli Stati membri sono fortemente legati alla Bce, dalla quale sarebbe difficile prescindere. Allo stesso modo risulterebbe fortemente dannoso, soprattutto per alcuni Paesi, l’abbandono della moneta unica. Probabilmente l’Europa dovrebbe essere invece rivista nei suoi elementi fondanti e si dovrebbe guardare di più al modello degli Stati Uniti.