“Gli attentati del 13 novembre a Parigi sono stati solamente la punta dell’iceberg, al di sotto della quale sussiste una presenza terroristica stratificata”. Gian Micalessin, inviato di guerra de il Giornale, commenta così l’uccisione di un uomo armato di coltello avvenuta giovedì all’ingresso di un commissariato di Parigi. L’uomo portava con sé una finta cintura esplosiva ed è stato abbattuto dalla polizia con tre colpi di arma da fuoco. Sempre giovedì un camion bomba è esploso contro un centro di addestramento a Zliten, cittadina libica tra Tripoli e Misurata, provocando la morte di 60 poliziotti. Decine gli agenti rimasti feriti, tanto che in seguito all’attentato tutti e quattro gli ospedali della zona sono in stato di emergenza.



Micalessin, ci aspetta un inizio 2016 all’insegna dell’instabilità e della paura?

Questo è un fatto ormai abbastanza conclamato, sicuramente non possiamo pensare di esserci lasciati il terrorismo alle spalle.

Come legge l’uccisione di un uomo in un commissariato di Parigi?

Gli attentati del 13 novembre sono stati solamente la punta dell’iceberg, ma sotto sussiste una presenza stratificata. Solamente in Francia le persone sospettate di avere avuto contatti con i terroristi sono circa 6-7mila. Quello avvenuto giovedì non ha le caratteristiche di un attentato pianificato, quanto piuttosto assomiglia all’atto di uno squilibrato. E’ però sintomatico di un humus di persone che si riconoscono nel terrorismo e che sono quindi pronte a colpire e a immolarsi.



Sempre giovedì un camion bomba è esploso ha Zliten. Che cosa sta avvenendo in Libia?

In Libia la situazione è gravissima perché l’Isis sta avanzando, in quanto è consapevole del fatto che siamo alla vigilia di un intervento internazionale. La creazione di un governo di unità nazionale è la premessa per la richiesta di un aiuto esterno che servirà in un primo momento a insediare il governo a Tripoli e quindi anche a fermare l’avanzata dell’Isis. Il Califfato intende quindi agire in controtempo.

La recrudescenza in Libia è legata a quanto sta avvenendo in Siria e Iraq o è più un fenomeno locale?



L’insediamento dell’Isis in Libia è una diretta conseguenza di quanto sta avvenendo in Siria e Iraq. La Libia del resto è sempre stata il terreno embrionale dove si formavano tanti jihadisti. Quando nel 2005 gli americani scoprirono una base di Al Qaeda Iraq, antesignano dell’Isis, trovarono gli elenchi di tutti gli jihadisti venuti dai Paesi stranieri e scoprirono che la percentuale più significativa proveniva dalla Cirenaica. Facevano parte del gruppo islamico combattente che operava in Libia e che all’epoca era legato ad Al Qaeda, tanto da essere ufficialmente riconosciuto da Bin Laden.

Nella risoluzione della crisi libica, l’Italia si può fidare di Francia e Regno Unito? 

Sicuramente no, in quanto fin dall’inizio francesi e inglesi hanno dimostrato che sulla Libia hanno visioni e interessi contrapposti ai nostri. E’ chiaro però che la guerra all’Isis non può essere condotta dall’Italia da sola. La Libia è un territorio vasto quattro volte la Francia, e i soldati italiani potrebbero a malapena coprire l’area di Tripoli. Un’alleanza con altre nazioni è inevitabile. Il problema è riuscire ad avere un piano che ci metta nelle condizioni di controllare la situazione e di avere dei vantaggi sul terreno.

 

Negli ultimi mesi l’Arabia Saudita sembra essere entrata in una crisi economica e politica. Questo frena o accelera il diffondersi dello jihadismo globale?

Questa crisi rafforza lo jihadismo. L’Arabia Saudita si è resa conto del fatto che l’Isis è un pericolo anche nei suoi confronti, e da circa due anni ha bloccato i finanziamenti che andavano direttamente al Califfato. Lo Stato Islamico però è molto presente all’interno dell’Arabia Saudita.

 

Come si sta muovendo l’Isis in Arabia Saudita?

Di recente l’Isis ha lanciato un’avanguardia propagandistica proprio alla vigilia delle esecuzioni di Capodanno. Ben 43 dei 47 che sono stati mandati al patibolo erano ex componenti di Al Qaeda che l’Isis aveva promesso di liberare dalle carceri. All’interno dell’Arabia Saudita lo Stato Islamico sta trovando larghissima risposta negli ambienti più estremisti.

 

Quali conseguenze ha per la lotta al terrorismo lo scontro tra Arabia Saudita e Iran?

Lo scontro con l’Iran rende più difficile combattere l’Isis. Attraverso la scelta di finanziare l’Isis, l’Arabia Saudita ha commesso una mossa suicida. Oggi però la fortuna dello Stato Islamico non dipende più tanto dai finanziamenti esteri, che pure continuano ad arrivare anche attraverso vie illegali da Arabia Saudita, Qatar, Kuwait, ma soprattutto dall’autofinanziamento grazie alla vendita di petrolio e di reperti archeologici.

 

(Pietro Vernizzi)