Cinquanta pagine “oniriche”. In sintesi, il giudizio sulle tesi di Syriza in vista del secondo congresso, previsto per metà ottobre. Gestire la miseria non è certamente allettante, soddisfacente invece gestire il potere. La trama delle tesi del congresso parla di uno Stato che in realtà non esiste, e mai esisterà, data la situazione economica e sociale di questo Paese. Si vedrà alla resa dei conti, la sintesi che uscirà dalle discussioni. Si vedrà quanto la gestione del potere sarà più forte delle tante ideologie e correnti che si agitano nel partito. Stalinisti contro comunisti, marxisti contro post-marxisti, scuola francese (Althusser) contro terzomondisti, statalisti contro riformisti, idealisti contro pragmatici. Il buon senso suggerisce che saranno questi ultimi a dettare l’agenda politica del partito, perché ci sono ancora alcune poltrone vuote nella macchina dello Stato.
Nonostante i toni trionfalistici di quest’ultimo anno, Syriza sembra destinato a seguire le orme dei governi precedenti. Ha vinto imbarcando i delusi, o meglio gli illusi in un avvenire – promesso dai “syrizei” – che mai avrebbe potuto realizzarsi. Il pieno di voti sembra oggi il denaro rubato, quello che si perde facilmente. E dopo un anno è chiaro che il rapporto di Syriza con i cambiamenti chiesti dai creditori è uguale a quello del gatto con l’acqua. Una tesi del congresso parla contro il liberismo, eppure questi “syrizei” votano, senza battere ciglio, misure liberiste, cioè privatizzazioni. Tuttavia il loro voto non coincide mai con le dichiarazioni che fanno in Parlamento.
Il “disamore” tra governo e opinione pubblica è ormai acclamato: circa il 60% dichiara di essere deluso-arrabbiato. E la sua prossima e probabile sconfitta – stando sempre ai sondaggi – sarà la punizione per gli inganni e le bugie. A Tsipras toccherà la stessa sorte che è capitata ai suoi predecessori. Toccherà forse a Mitsotakis, presidente di Nea Democrazia. Di certo Syriza non collasserà sotto il contrattacco di ND, ma per combustione interna di quel 63% che nel referendum dell’anno scorso si è espresso per il “no”. Ma era un “no” a che cosa? Per caso quel “no” è servito a strappare ai creditori un accordo migliore? No. Le regole vanno rispettate, ha chiarito Bruxelles, se volete,voi greci, continuare a fare la spesa e ricevere la pensione.
Ma Mitsotakis è la speranza per il futuro? Il suo partito è pronto a gestire la miseria? Oppure gli elettori sperano in una diversa narrazione della crisi? «Non farò false promesse», ha dichiarato MItsotakis alla Fiera di Salonicco – una manifestazione che serve soltanto come tribuna per esporre la solita demagogia politica. Per dire “noi siamo onesti, è la sinistra ad essere bugiarda”. È sufficiente per ottenere il consenso? L’esperienza di sette anni di Memorandum dimostra che i Primi ministri-esecutori (Papandreou, Samaras e adesso Tsipras) non hanno futuro. «Io non voterei mai Syriza, ma potrei votarlo soltanto perché non vinca Mitsotakis», affermava un’amica. Voleva forse dire che il Paese non ha bisogno di un governo di centro-destra che mima la sua politica degli anni scorsi. Forse il Paese avrebbe bisogno di un’iniezione di fiducia, una sua ristrutturazione dalle fondamenta – non del tipo contemplata dalle tesi congressuali di Syriza -, riforme coraggiose, e non una gestione più elegante della miseria, perché le elezioni vinte puntando sulla delusione e sulla demonizzazione dell’avversario non producono leader che hanno una visione del futuro, ma soltanto primi ministri che poi diventeranno ex.
Lo scrittore Petros Markaris ha descritto fedelmente i sette anni di crisi in tre libri. Nella sua ultima fatica “Offshore” (in traduzione da Bompiani), Markaris si spinge nella fantascienza, raccontando di una Grecia uscita dalla crisi. Oggi la Grecia, descritta nel libro, è il Paese del bengodi: ditte estere continuano ad aprire i battenti, i dipendenti pubblici hanno ottenuto i sospirati aumenti di stipendio dopo sei anni di decurtazioni, nuovi posti di lavoro fioccano anche nel settore privato, i pensionati sono tranquilli e sereni. Anche gli armatori, tutti scappati a Londra durante gli anni bui, sono tornati a dispiegare la bandiera nazionale sulle loro navi ormeggiate nel Pireo.
Markaris racconta un’Atene con le trattorie piene, dove i soldi scorrono a fiumi dopo l’insediamento del “Governo dei quarantenni” di unità nazionale, arrivati al potere con un programma elettorale fatto di un solo slogan: “Gli altri hanno promesso tanto e hanno tutti fallito. Lasciateci provare per tre mesi. E se ce la facessimo?”. Così la Grecia, da Paese cavia dell’austerity firmata Troika, è diventata in un trimestre la protagonista di una “success story” europea. Proprio quella “success story” millantata dall’allora primo ministro Samaras, e oggi accennata da Alexis Tsipras. Merito delle privatizzazioni, e non solo. «Ma tutti quei soldi da dove vengono?» si chiede il commissario Charitos. Con pazienza il commissario avrà delle risposte poco confortanti.