Ormai è scontro aperto, sempre più pericoloso. A certificare quanto vi dico da mesi, ieri ci ha pensato un quotidiano mainstream e dichiaratamente filo-atlantista come La Stampa con il titolo del suo articolo dedicato alla crisi siriana: “Obama, armi ai ribelli per fermare Putin in Siria”. Nulla da interpretare, è chiaro come il sole: il livello di tensione è arrivato a un punto tale che ciò che fino a ieri andava celato il più possibile, ovvero che dietro la destabilizzazione anti-Assad ci fosse fin dal primo giorno l’amministrazione Usa, ora diviene notizia e verbo da spargere. Per il faro delle democrazia, il pericolo in Siria non sono Isis e Al-Nusra, ma Vladimir Putin e i suoi caccia che offrono supporto aereo all’esercito regolare siriano. Gli Usa stanno con gli estremisti islamici, ora si può dire anche su La Stampa.



Come mai questo repentino cambio di strategia? Perché lunedì Putin ha scompaginato ulteriormente le carte, rendendo noto al mondo chi è l’unico player in grado non solo di muovere le pedine, ma anche di dettare le regole. Primo, la visita in Turchia ha saldato l’alleanza con Erdogan e lo ha fatto utilizzando come sigillo il gasdotto Turkish Stream. Non proprio un’inezia geopolitica. Ma anche la Siria è stato uno dei temi centrali dell’atteso colloquio, come ha riferito lo stesso Erdogan ai giornalisti al termine dell’incontro, precisando in conferenza stampa che i due leader hanno discusso della necessità di fornire aiuti alla popolazione assediata ad Aleppo, nel nord della Siria e dell’operazione “Scudo dell’Eufrate”, che vede protagonista l’esercito turco in territorio siriano. “Abbiamo parlato degli sviluppi ad Aleppo, di cosa possiamo fare, in particolare sotto l’aspetto umanitario”, ha aggiunto Erdogan, citato dall’agenzia Anadolu. Ma come anticipato, Turchia e Russia hanno firmato un accordo intergovernativo su un gasdotto per le forniture di gas naturale russo verso la Turchia e l’Europa orientale, che prevede la costruzione di due gambe subacquee nel Mar Nero.



Di più, il presidente Putin, dopo la cerimonia della firma, ha affermato che l’accordo prevede anche una riduzione del prezzo del gas per la Turchia. Stando all’amministratore delegato di Gazprom, Alexey Miller, la capacità annuale di ciascuna gamba è stimata a 15 miliardi e 750 milioni di metri cubi di gas naturale. Una delle gambe fornirà gas direttamente al mercato turco, mentre l’altra sarà utilizzata per il transito del gas attraverso il territorio turco in Europa: entrambe le gambe dovrebbero essere costruite entro la fine del 2019, ha detto Miller.

Ma non basta, perché prima della pace con Erdogan, Vladimir Putin ha monopolizzato l’attenzione del World Energy Congress sempre in Turchia, rilanciando con forza l’ipotesi di una collaborazione tra Mosca e l’Opec per “congelare o addirittura tagliare la produzione di greggio”. Boom, quotazione del greggio ai massimi da un anno. Rivolgendosi alla platea del Wec, il presidente russo ha messo in guardia dagli effetti del crollo degli investimenti nell’industria petrolifera, che in futuro rischia di provocare carenze di offerta e dunque imprevedibili balzi del prezzo del barile: “In questa situazione – ha proseguito – pensiamo che un congelamento o addirittura un taglio di produzione sia probabilmente l’unica decisione giusta per mantenere la stabilità del settore energetico globale”.



Il capo del Cremlino non ha specificato quanto Mosca sia disposta a sacrificare, dopo che la sua produzione di greggio è salita in settembre al record post-sovietico di 11,1 milioni di barili al giorno, ma ha detto che “la Russia è pronta a unirsi a misure congiunte per limitare la produzione e si appella agli altri esportatori di petrolio perché a loro volta si uniscano”. Sarà vero o membri non presenti al meeting come Iran e Iraq metteranno i bastoni tra le ruote al progetto russo da qui alla riunione Opec di dicembre a Vienna?

Paradossalmente, non importa. È il segnale politico che conta: con una mossa simile, Putin ha di fatto teso una mano ai più grandi alleati Usa in Medio Oriente, ovvero i Paesi del Golfo, i quali sono tutto tranne che insensibili al tema petrolifero e quindi al denaro. Mettiamo poi nel novero il fatto che le relazioni tra il socio di maggioranza dell’Opec, l’Arabia Saudita, e Washington sono oggi ai minimi storici a causa della legge che consente ai parenti delle vittime dell’11 settembre di trascinare Ryad in tribunale per ottenere risarcimenti ed è intuitivo capire come Putin, da abile scacchista, stia smontando con calma e pezzo dopo pezzo ogni relazione diplomatica Usa, indebolendole prima e spezzandole poi, come ha fatto con la Turchia di Erdogan, di fatto membro della Nato con una special relationship con il nemico numero uno della Nato stessa.

Non mi stupirebbe che, tra un paio di settimane, quando Ryad emetterà debito pubblico per la prima volta da dieci anni per finanziare le casse che languono, uno dei principali sottoscrittori sarà proprio la Russia, carica di riserve come non mai. Non so se vi rendete conto di cosa stia accadendo, visto che in questo Paese si parla solo di quella pantomima chiamata referendum costituzionale, ma siamo sull’orlo di una potenziale guerra. Domenica il sostituto del rappresentante permanente degli Stati Uniti alle Nazioni Unite, David Pressman, ha infatti detto che la Russia “è uscita dalla cooperazione” con gli Stati Uniti nella lotta contro i terroristi in Siria, decidendo di sostenere la campagna di Bashar Assad. Questo perché Mosca ha bloccato la risoluzione proposta dalla Francia per imporre il cessate il fuoco ad Aleppo: il documento ha ottenuto 11 voti sì, 2 voti contrari e 2 astenuti. Pertanto la Russia, uno dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ha deciso di porre il veto, come suo diritto statutario.

“Abbiamo trascorso mesi a cercare modi per lavorare con la Federazione Russa su una campagna per colpire Al-Nusra. Avevamo concordato le vie da percorrere, che avrebbero consentito di mettere nel mirino i terroristi. In cambio abbiamo chiesto che la Russia mantenesse il cessate il fuoco e garantisse l’accesso umanitario. Quando c’è stata l’opportunità di lavorare insieme per combattere il terrorismo, la Russia ha deciso di andarsene. La Russia ha deciso di ignorare gli appelli del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per l’attuazione del cessate il fuoco, la Russia ha deciso di sostenere la campagna militare del regime di Assad per la ripresa del controllo di tutto il territorio della Siria”, ha detto Pressman, alzando ormai all’infinito l’asticella del ridicolo.

Quindi sarebbe Mosca a non voler combattere il terrorismo? Qualcuno dica a Pressman che il suo presidente ha detto chiaro e tondo di armare i ribelli contro Putin in Siria, i terroristi sono i suoi alleati. E se non credete a me, credete a qualcuno che di certe cose ne capisce. In un rapporto dettagliato dal nome Le forze speciali statunitensi sabotano le fallimentari operazioni sotto copertura in Siria, Jack Murphy, un ex berretto verde dei marines Usa, racconta che un ex ufficiale CIA gli avrebbe rivelato che “il programma di operazioni segrete in Siria è una creatura del direttore della CIA, John Brennan… È stato Brennan a dare vita alla Syrian Task Force … John Brennan si era innamorato della folle idea di rovesciare il regime”. In sostanza, Murphy sostiene che le forze speciali statunitensi, che stanno armando i gruppi anti-Isis, rispondevano a un’autorità presidenziale, mentre la CIA, ossessionata dal pensiero di destituire il Presidente Assad, rispondeva a un’autorità separata e conduceva un programma distinto e parallelo per armare i ribelli.

Ora gli amici yankees possono riappacificarsi e tornare insieme davanti al caminetto di casa: stanno tutti dalla stessa parte, quella degli estremisti islamici. Come sempre, d’altronde. Ma c’è un problema. Serio. Gli unici a credere ancora alle balle degli americani siamo noi europei. Tanto che ieri è arrivata la conferma della cancellazione – utilizzando la formula diplomatica del rinvio – della visita di Vladimir Putin a Parigi il 19 ottobre prossimo, questo dopo la mossa francese all’Onu riguardo la no-fly zone su Aleppo e dopo le parole del presidente francese, François Hollande, il quale avrebbe iniziato a chiedersi se era giusto ricevere il capo del Cremlino.

Il Napoleone in sedicesimi, incapace persino di tenere segreta una tresca amorosa, ha infatti ribadito che, nel caso dei bombardamenti su Aleppo, si tratta di veri e propri crimini di guerra: “Chi commette questi crimini deve pagarne la responsabilità. Anche davanti la Corte penale internazionale”. Di più, la Francia chiederà alla Corte penale internazionale (CPI) di avviare un’indagine su possibili crimini di guerra in Siria, ha detto il ministro degli Esteri francese, Jean-Marc Ayrault, parlando alla radio France Inter. “Non concordiamo con ciò che la Russia sta facendo, bombardando Aleppo. La Francia è impegnata come mai prima per salvare la popolazione di Aleppo”, ha concluso. E con la Germania che intende chiedere nuove sanzioni contro Mosca per l’operato in Siria, il quadro è chiaro: l’asse renano ha deciso che l’Europa è al fianco degli Usa nella lotta contro Putin e a favore dei terroristi islamici in Siria.

Avete sentito una parola da parte di Federica Mogherini al riguardo a nome dell’Ue? Avete sentito il ministro Gentiloni dire una parola a nome della diplomazia italiana? Avete sentito Matteo Renzi proferire sillaba sul fatto che siamo alla vigilia di un potenziale conflitto e, comunque, a una ridiscussione geopolitica e degli equilibri epocale? No, lui parla del bicameralismo perfetto, del combinato disposto e del Cnel. Auguri cari amici, ne abbiamo davvero bisogno. E stavolta non si tratta di Borse che crollano e spread che si ampliano, qui si tratta di chi sopravviverà al cambiamento e chi no. E noi non meritiamo di sopravvivere, ci meritiamo il duello Salvini-Boschi come metafora della pantomima di nazione che siamo.