Atene-Berlino-Fmi: il triangolo del caos. Tra i due protagonisti e il comprimario si stabiliscono alleanze variabili. Atene con Fmi per la riduzione del debito pubblico. Atene contro Fmi per un ulteriore taglio della spesa previdenziale (oggi al 10% a carico delle casse statali). Berlino contro Fmi sulle percentuali di crescita (3,5% nel 2018 per l’Ue, 1,8% per il Fmi) della Grecia e sul taglio del debito. In breve: il Fmi pensa di non potere partecipare con nuovi finanziamenti perché i fondamentali della Grecia non lo consentono. Secondo il Fmi, senza una ristrutturazione del debito, non è credibile che Atene possa riprendere la strada della crescita e ripagare quanto dovuto. Berlino non è d’accordo e sottolinea come un taglio del debito sia già stato fatto e come la Grecia abbia obblighi, in termini di pagamento per interessi, molto favorevoli che comportano una spesa annua pari a meno del 4% del Pil.
Il Fmi che minaccia di sfilarsi da questo ginepraio ellenico. Berlino che ha votato per il nuovo prestito ad Atene a condizione che sia presente il Fmi. Insomma, Atene sta a guardare in attesa che il Fmi decida quale sarà il suo ruolo e Berlino vada alle elezioni tra un anno. Sotto questa cappa di incertezza, ecco che “Die Welt” scrive che la miglior soluzione per la Grecia sarebbe una drastica riduzione del debito e un bonus di “buona uscita”, cioè Grexit.
Nel frattempo, il governo Tsipras continua la strada, tortuosa, delle riforme. Terminata la prima valutazione con un anno di ritardo (ufficialmente si doveva concludere a ottobre 2015), ricevuta una sotto-tranche di 1,1 miliardi e in attesa della seconda da 1,7 – questo spacchettamento molti commentatori lo interpretano come un “avvertimento” verso Atene -, sta per iniziare la seconda valutazione che dovrebbe, teoricamente, concludersi a fine novembre. A valutazione conclusa, si dovrebbe parlare di ristrutturazione del debito ed eventuale accesso al Qe di Draghi.
Ipotesi accademica, stando ai precedenti e alle riforme (33) che dovranno essere votate. La più delicata: quella del mercato del lavoro. Se il governo vorrà essere promosso, sarà costretto a rinnegare tutte le promesse circa un aumento del 20% dello stipendio minimo, la reintroduzione dei contratti collettivi. Ci sarà battaglia come ha promesso il ministro del lavoro che porterà al 2017. Ma ci saranno anche tante ore perse per scioperi e manifestazioni. Non passa giorno che il centro di Atene non sia bloccato da manifestanti: pensionati, giornalisti, medici. Ormai è chiaro che la disaffezione per questo governo sta aumentando. Ma lo stesso governo, che nel suo documento economico-finanziario (cioè la bozza delle legge di bilancio) è convinto che nel 2017 ci sarà un rimbalzo dell’economia che segnerà un +2,8%, e di conseguenza potrebbero diminuire i malumori.
Sintomatico comunque è un fatto: la classe politica viaggia su un altro emisfero. Lo stesso giorno in cui l’Eurogruppo ha “umiliato” la Grecia con la sotto-tranche (decisione voluta dai tedeschi), ad Atene, in Parlamento, si discuteva di corruzione. Niente di nuovo. Se ne parla da anni, per puro spirito “accademico”. Ma ciò che ha fatto impressione erano i toni usati dai due contendenti: Tsipras e Mitzotakis. Attacchi personali e polemica al calor bianco. Risultato positivo per entrambi: al secondo per confermarsi leader di un partito, somma di feudo e clan, e al primo il dibattito è servito per ricompattare la base elettorale in vista del secondo congresso che inizia oggi.
“Syriza ha intenzione di restare al potere per diversi anni ancora”, ha dichiarato Tsipras. “Syriza ha intenzione di restare al potere per molti anni, non a proprio vantaggio, ma a beneficio del popolo”, ha ribadito un suo ministro. E poi ancora una quasi excusatio non petita: “La demonizzazione di Syriza, cioè l’idea errata che il partito miri a rovesciare la democrazia, è sbagliata. Ad esempio, l’idea che Syriza abbia l’obiettivo di rendere permanente il partito dominante mediante la creazione di un regime autoritario di tipo Putin o Erdogan è sbagliata”, scrive Nikos Muzelis, professore emerito di sociologia alla Lse, a proposito della sua nomina a componente della commissione per la riforma della Costituzione insediata dalla stesso Tsipras.
Contro questa commissione si sono scagliati diversi costituzionalisti che hanno sostenuto che soltanto il Parlamento può deliberare sulla riforma della Costituzione. E Tsipras strizza pure l’occhiolino alla magistratura, ricevendo i presidenti delle tre Corti Supreme e dichiarando di fronte alle telecamere di voler aumentare il loro stipendio (ma prima dovrà misurarsi con la Troika). Tutta questa piazzata forse per influenzare la sentenza della Consiglio di Stato circa la costituzionalità delle legge sulle frequenze televisive?
Nei prossimi giorni si saprà che cosa decidono di essere i “syrizei”. Ci sarà un rimpasto di governo? Verrà rilanciato il “programma parallelo”? Di sicuro sarà difficile per loro ammettere di aver “massacrato” l’ultima speranza di questo Paese. Oggi più di ieri, considerato che l’alternativa è nuovamente Nea Democratia.
P.S.: “Buongiorno, sono il ministro delle finanze di un Paese fallito”, questa sarebbe stata la dichiarazione di Yanis Varoufakis a Francoforte di fronte ai governatori centrali. Lo ha riferito davanti a una commissione parlamentare l’attuale governatore della Banca di Grecia, Yannis Sturnaras, e ha aggiunto che il ritiro dei contanti da conti bancari è avvenuto da gennaio a luglio 2015, “quando le trattative sembravano portare a un punto morto”. Quanto al capital control, Sturnaras ha dichiarato che non esisteva un’alternativa a questa misura, perché nel giro di tre giorni, dopo l’annuncio del referendum, dai conti sono stati prelevati 900 milioni.