Il protagonista indiscusso di questa campagna per le Elezioni Usa 2016 è stato indubbiamente Donald Trump. Mai avremmo pensato che un imprenditore prestato alla politica, per quanto eccentrico e fuori dagli schemi, avrebbe potuto rubare la scena per mesi a Hillary Clinton, colei che sembra essere ormai ad un passo dal diventare la prima Presidente donna nella storia degli Stati Uniti d’America. Eppure, per chi si occupa di raccontare quotidianamente ciò che accade oltreoceano, il responso è netto: nel bene e nel male è Donald Trump il personaggio di queste Elezioni e probabilmente nei prossimi giorni lo sarà ancora di più. Se vi state chiedendo perché dovreste aspettarvi i fuochi d’artificio proprio adesso che Trump viene dato in ritardo di 11 punti percentuale da Hillary nell’ultimo sondaggio su scala nazionale, la facciamo breve: The Donald è rimasto solo. Come all’inizio della sua cavalcata trionfale alle Primarie, quando tutto l’establishment del Partito Repubblicano lo definiva un pericolo per il Gop e per gli Stati Uniti, oggi attorno a Trump è rimasto il deserto. Uno alla volta i cosiddetti “big” repubblicani si sono sfilati: c’è chi, come Mitt Romney, ha osteggiato fin dall’inizio la candidatura del tycoon; ci sono i Bush, che prima hanno provato a lanciare Jeb, poi hanno scelto il silenzio al coraggio; e poi ci sono il vecchio e il nuovo del Grand Old Party, John McCain e Paul Ryan, il saggio e l’astro nascente di un Partito impossibilitati a confermare il loro appoggio ad un candidato resosi colpevole di aver pronunciato frase irripetibili sulle donne, figlia Ivanka compresa. Il leone, per quanto in pubblico non lo dia a vedere, non può che essere ferito. Trump ha tentato di controllarsi, ha dato ascolto a quegli uomini di cui a pelle non si era mai fidato, che solo dopo il suo successo avevano deciso con cautela di salire sul carro del vincitore, ha provato a fidarsi di quegli “insider” della politica che aveva sempre guardato con diffidenza considerando se stesso un “outsider” e ora che vede i “topi” abbandonare la nave mentre questa sembra andare a picco, ha deciso che se la fine dovrà arrivare, sarà a modo suo. Per questo motivo, all’interno del Partito Repubblicano stesso, c’è chi prova a tessere la tela della pace, consapevole che ormai gli sforzi diplomatici non possono più sopperire ad una rottura insanabile, consumata da tempo, ufficializzata da poco. C’è chi pensa che il Gop pagherà le conseguenze di questa campagna elettorale per i prossimi 8 anni almeno, ma c’è anche chi sembra interessato a questa corsa alla Casa Bianca in maniera quasi morbosa, incapace di volersi rassegnare all’idea che ormai sia tutto perduto, anche considerando che nessun candidato alla presidenza nella storia moderna è riuscito a rimontare uno svantaggio superiore ai 4 punti percentuale con così poco tempo a disposizione. Trump, come tutti quei leader politici convinti di incarnare il sentimento popolare più di chiunque altro, vede l’addio dei traditori come una manna dal cielo. Il momento attuale del magnate newyorchese ricorda quello vissuto nei mesi scorsi da quello della Brianza, Silvio Berlusconi: abbandonato dai Bondi, dai Verdini, dai Fitto che per anni lo avevano spalleggiato, si disse sicuro che alla fine Forza Italia avrebbe beneficiato di quelle partenze, convinto che quegli elementi rappresentassero una zavorra, non un valore aggiunto. Allo stesso modo del Berlusconi ferito, che quando era costretto ad elaborare il lutto di una sconfitta si rintanava nel rifugio di Arcore, Trump ha fatto della sua Trump Tower il suo quartiere generale. Il giorno successivo al secondo dibattito televisivo, quello in cui The Donald è riuscito quanto meno nell’impresa di prolungare la sua agonia, il candidato repubblicano è rimasto pressoché in isolamento. Non ha meditato sulla possibilità di fare quel passo indietro che molti dirigenti del Gop gli hanno chiesto per il bene del Partito: non è intenzionato a sacrificarsi in nome di chi gli ha voltato le spalle. Piuttosto c’è da pensare ad un modo per uscire vincitore, anche ora che la sconfitta sembra inevitabile. Per questo motivo Donald ha scritto su Twitter di essere finalmente libero da chi ha provato ad incatenarlo, libero di dire tutto ciò che pensa, di condurre la campagna a modo suo senza temere ramanzine e richiami dal vertice. Ed è nell’alzare nuovamente l’asticella che si intravede il modo di essere di Trump: darà spettacolo, sparerà a zero su Hillary, tenterà di infangare ancora Bill Clinton così come ha tentato di fare a pochi minuti dal faccia a faccia di Washington improvvisando una conferenza stampa con 4 donne che sostenevano di essere state stuprate dall’ex presidente. Infine, ed è il più grande timore dei vertici del partito dell’Elefante, non è escluso che Trump si pronunci contro quegli stessi dirigenti che in queste ore lo hanno abbandonato e che rappresentano l’ultima speranza di mantenere quanto meno la maggioranza numerica alla Camera, dando vita di fatto ad una “guerra civile” senza precedenti all’interno dello schieramento repubblicano. Delineare oggi una previsione su quel che sarà di queste ultime settimane di campagna politica in vista dell’Election Day rappresenta probabilmente un inutile esercizio di fantasia. Su una cosa, però, siamo pronti a scommettere: che da qui all’8 novembre vedremo il vero Donald Trump. Come il giocatore che non ha più niente da perdere, anche il miliardario è pronto ad andare in all-in. Se alla fine della mano il suo piatto vanterà qualche fiches in più non è dato sapere, ma nessuno speri di levargli il gusto di una puntata rischiosa. A dare la carte, da adesso in poi, sarà solo e unicamente Donald Trump. (Dario D’Angelo)