Stimatissimo direttore,

Ho letto con notevole perplessità l’articolo di Mauro Bottarelli “Le ‘follie’ italiane su Russia e immigrazione”. Non voglio addentrarmi nella questione dei migranti di cui si occupa nella seconda parte del suo pezzo: anche qui lo spirito mi lascia molto perplesso, ma si tratta di una questione per la quale non ho la competenza e le conoscenze tecniche per un’opportuna verifica. Ti segnalo soltanto che, quando dice che “in Russia non c’è alcun clima di guerra”, non esprime semplicemente un’opinione più o meno discutibile (che in questo senso andrebbe tenuta comunque presente per completezza di informazione), ma dice una cosa positivamente falsa. Il fatto che la sua affermazione si fondi su una lettera del gruppo Gim Unimpresa meriterebbe un discorso a parte, non foss’altro perché queste stimabilissime persone, pur con una lunga esperienza di Russia, non sono semplici russi, ma imprenditori italiani.



Altro che “non c’è alcun clima di guerra”: i russi hanno a che fare con una realtà che incute esattamente terrore; lo sdoganamento dello stalinismo con la rivalutazione di Stalin in quanto artefice della vittoria nella seconda guerra mondiale (mentre il protagonista di quella vittoria fu il popolo, mandato al macello dall’imperizia e dalla criminalità dei suoi capi) può forse lasciar tranquilli degli osservatori occidentali, ma pesa come un macigno sull’opinione pubblica di un paese in cui ogni famiglia ha avuto la sua vittima e, oggi, si sente dire che quelle vittime sono state comunque giustificate dalla creazione di una grande potenza; esattamente il mito della grande potenza e la propaganda bellicista con la quale viene bombardata la gente ogni giorno attraverso la televisione (“stiano attenti gli occidentali che non ci vuole molto a ridurli a polvere radioattiva”, ha detto per televisione un famoso giornalista) possono forse far sorridere gli occidentali, convinti in ultima analisi di essere migliori di “quei pasticcioni di russi”, ma non possono che terrorizzare chi teme che le armi nucleari possano effettivamente essere utilizzate; la continua riproposizione dell’idea del nemico esterno con espressioni come “quinta colonna” e “agente straniero” per identificare chi in Russia ha in qualche modo simpatie o rapporti con l’Occidente può forse non preoccupare minimamente un occidentale, ma può significare la chiusura per istituti di ricerca di grande valore, che con questa accusa si vedrebbero costretti a rinunciare ai finanziamenti esteri (ed effettivamente misure come queste minacciano due dei più prestigiosi centri di ricerca della Russia contemporanea: l’associazione Memorial, che raccoglie la memoria delle vittime del regime totalitario sovietico e il centro Levada che è uno dei più stimati istituti demoscopici). 



La notizia non del “pane razionato” (come si dice nell’articolo del sussidiario), ma dei “300 grammi giornalieri di pane garantiti pro capite in caso di guerra” non è un’invenzione del giornalista del Corriere con il quale se la prende Bottarelli, ma è un fatto che ha scosso l’opinione pubblica diffondendosi come un’epidemia; e se questa notizia si è trasmessa con la velocità di un virus forse varrebbe la pena di farsi qualche domanda sul perché di una tale diffusione. Ma certo per farsi venire qualche dubbio bisognerebbe sapere che effettivamente la notizia è stata data in Russia e poi si è propagata in Russia e poi ha tenuto occupata la gente in Russia e poi sempre in Russia è stata rettificata e spiegata diversamente (“assicurando che c’erano scorte garantite — è stato argomentato per spiegare la notizia e tranquillizzare la gente — non si pensava alla guerra, ma si seguiva una procedura abituale tesa a evitare rincari artificiali del prezzo della farina”!), finendo quindi per essere smentita del tutto, denunciata come un mito metropolitano e arrivare, finalmente, in mano a tutti i giornalisti occidentali, poco o tanto assidui della capitale russa (si rassicuri Bottarelli, non è solo l’italiano Corriere ad aver ripreso la notizia). Chi vive in Russia questo lo sa, chi sta fuori o ha notizie di seconda o terza mano, senza contatti con la gente della strada, rischia di non sapere o di non capire.



In effetti non si può capire come possa diventare credibile una notizia così assurda come quella di garantire 300 grammi di pane per venti giorni in caso di guerra se non si ha presente l’atmosfera che respira ogni giorno la gente che guarda la televisione, va in metro e si sente ripetere continuamente avvisi di fare attenzione per possibili attentati.

Sia chiaro: non c’è solo questo clima in Russia, c’è ben altro, c’è della gente che lavora e lavora bene, c’è della gente che non si preoccupa delle disfunzioni dello Stato e si organizza in modo di rispondere alle sue carenze, in campo medico o assistenzialistico, ad esempio, o là dove c’è da dare un’accoglienza minimamente rispettosa alle masse di immigrati più o meno clandestini provenienti dalle repubbliche asiatiche ex-sovietiche (anche la Russia ha i suoi profughi come li ha l’Occidente, e come l’Occidente spesso li guarda con fastidio), ma è solo questo clima di paura che rende accettabili storie come quella del pane. Ma poi, era davvero una storia o la si è fatta diventare tale quando ormai aveva ottenuto il suo risultato terroristico?

Se si vuole parlare della Russia di oggi bisogna fare i conti anche con questo clima e con la logica che gli sta dietro, una logica che l’Occidente farebbe bene a capire alla svelta, perché ne è roso a sua volta, con questa mania di doversi schierare, così che per denunciare gli errori dell’America devi per forza difendere a ogni costo Putin: bisogna che la gente abbia paura se la si vuole guidare senza troppi problemi; un popolo impaurito, privo di certezze, ha bisogno di identificare il nemico che lo priva dei suoi punti fermi e ha bisogno di affidarsi a un uomo forte che lo guidi contro questo nemico. Altro che “non c’è alcun clima di guerra”.

Per inciso, un giornalista occidentale negli anni Trenta, mentre in Ucraina c’era la carestia artificiale, il Holodomor, che causò alcuni milioni di morti, se ne uscì esattamente con una formula simile: in Unione Sovietica, diceva “non c’è una vera carestia, né vi sono morti per fame, ma c’è una diffusa mortalità per malattie dovute a cattiva alimentazione”. Si chiamava Walter Duranty e i capitalisti americani di allora, che evidentemente non erano molto diversi da quelli di adesso, gli diedero pure il Pulitzer. Ancora oggi nessuno è riuscito a farglielo revocare… e la cosa mi dà un gran fastidio.

Con la stima di sempre.