A 20 giorni dal voto il finale più probabile di queste Elezioni Usa 2016 sembra essere la sconfitta di Donald Trump. Tra chi spera che questo scenario si materializzi e chi desidera il contrario, c’è anche chi si preoccupa delle conseguenze che una prospettiva simile potrebbe causare in America. Per la prima volta nella storia democratica del Paese, infatti, c’è il candidato di uno dei due partiti maggiori che mette in dubbio la correttezza del processo di voto. Non c’è bisogno di sottolineare che a parlare di “elezioni truccate” non sia Hillary Clinton. Com’è ovvio a nutrire i maggiori dubbi sulla validità di questa tornata elettorale è Donald Trump, colui che negli ultimi sondaggi su scala nazionale viene attribuito di un ritardo a detta di molti impossibile da recuperare a meno di tre settimane dall’Election Day. La preoccupazione più diffusa è che la mancata legittimazione della vittoria altrui da parte di Trump scateni anche nei suoi sostenitori un sentimento di rivalsa nei confronti di Hillary e di un suo eventuale Governo. In una nazione che ci ha abituati a pensare al proprio Presidente come espressione di tutti i cittadini statunitensi, minoranze comprese, Hillary Clinton potrebbe ritrovarsi ad essere la rappresentante soltanto di una fetta di un Paese lacerato da divisioni interne. Qualche mese fa, quando ancora la vittoria dei Democratici non sembrava così scontata come invece appare oggi, Trump aveva evocato lo spettro di una “election rigged”, un’elezione truccata, e il presidente Obama in persona aveva trattato la questione con ironia, dicendo che quando si fa sport o anche quando si è piccoli e si gioca nel recinto di sabbia c’è sempre qualcuno che dopo avere perso sostiene che quello che ha vinto lo ha fatto imbrogliando, ma non gli era mai capitato di vedere qualcuno che si lamenta di essere truffato prima ancora che il gioco sia finito. Quel qualcuno è Donald Trump, il magnate newyorchese che non sembra avere alcuna intenzione di concedere l’onore delle armi a Clinton. Nei giorni in cui il numero di donne che sostengono di essere state molestate da Trump continua ad aumentare, il milionario dà in pasto a Twitter tutto il suo disappunto per come i media stanno trattando (a nostro avviso giustamente) la questione. Dice di essere al centro di un boicottaggio organizzato dalla “crooked Hillary”, la corrotta Clinton, alla quale ha promesso, in caso di sua vittoria, un’indagine sulle sue email da parte di un procuratore generale nominato appositamente. Uno dei cori più popolari fra i supporters di Trump recita non a caso “Lock her up”: perché i fan del Repubblicano detestano Hillary talmente tanto da volerla rinchiudere in galera, non c’è spazio per una sconfitta onorevole o per il riconoscimento quanto meno numerico della vittoria altrui. Se vittoria di Hillary sarà, per i sostenitori di Trump e per il loro leader, questa sarà arrivata soltanto con l’imbroglio. Per comprendere il clima respirato in America in queste ultime settimane prima del voto riportiamo un aneddoto di cui ha dato conto Usa Today, secondo cui Mike Pence si è trovato a parlare con un’elettrice di Trump che gli ha confessato, in caso di vittoria di Clinton, di essere pronta ad una rivoluzione. Nemmeno le parole del più moderato running mate Repubblicano, che ha provato a far desistere la donna dal suo intento, sono riuscite nell’impresa di far cambiare idea ad un’elettrice che ha fatto propri molti degli slogan di Trump e considera queste Elezioni Usa 2016 decisive per il futuro dei propri figli. Il sentore è che se Trump continuerà a gettare benzina sul fuoco le probabilità che il 9 novembre in America si verifichino degli scontri siano molto elevate. Le conseguenze di questo atteggiamento incendiario da parte di Trump potrebbero riversarsi anche sulla sfera prettamente politica degli Stati Uniti: nel caso in cui l’alone di illegittimità aleggiasse su Hillary come si comporterebbero i Repubblicani del Congresso? Collaborerebbero con l’amministrazione Clinton o alimenterebbero le proteste? Come fatto notare da Nicole Hemmer, esperta di questioni presidenziali appartenente alla University of Virginia’s Miller Center, non esistono precedenti a cui fare riferimento. Anche quando Richard Nixon perse le Elezioni del 1960 contro John Fitzgerald Kennedy, mentre alcuni Repubblicani spingevano per ricontare i voti nell’Illinois, fu lo stesso candidato alla Presidenza a riconoscere la vittoria del Democratico e ad invitare gli americani a compattarsi. Lo stesso è accaduto anche nel 2000, quando il democratico Al Gore perse le Elezioni contro George W. Bush per 537 voti della Florida e accettò il responso della Corte Suprema che con 5 voti contrari e 4 a favore rigettò la sua proposta di riconteggio dei voti. Sono in tanti a credere che la messa in dubbio dell’esito del voto possa rovinare irrimediabilmente il sistema democratico americano costituendo un precedente pericoloso per tutti gli interpreti della politica a stelle e strisce. A cercare di contestualizzare e ridimensionare le parole di Trump c’ha pensato come sempre il povero aspirante vicepresidente Mike Pence, che alla Nbc ha chiarito il senso delle dichiarazioni del tycoon dicendo che nel caso accetteranno sicuramente la vittoria di Hillary, ma è comunque frustrante assistere alla campagna denigratoria messa in atto dai media nei confronti del Repubblicano. Se il giorno dopo le Elezioni Usa 2016 Trump dovesse parlare però di “Election rigged” saremmo nuovamente punto a capo: e a quel punto non servirebbero a nulla i tentativi di mettere una pezza da parte di Mike Pence. Dal senso di responsabilità di Trump dipende la stabilità dell’America: e questa forse non è una buona notizia. (Dario D’Angelo)



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