“La politica americana nei confronti dell’Isis in Iraq è differente da quella nei confronti dell’Isis in Siria. Da un lato gli Usa stanno offrendo pieno supporto all’esercito di Baghdad contro il califfato. Dall’altra vedono nell’Isis uno strumento per contenere l’avanzata dell’esercito di Damasco”. E’ l’analisi di Ammar Waqqaf, attivista siriano residente a Londra. Dopo l’inizio delle operazioni contro Mosul, venerdì è partito il contrattacco dell’Isis su Kirkuk. Un’improvvisa accelerazione nello scenario irakeno, dopo che a detta di alcuni osservatori per due anni gli Stati Uniti sono sembrati poco intenzionati a mettere la parola fine all’esperienza del califfato. Per Waqqaf, “sconfiggere l’Isis molto rapidamente dal punto di vista militare ne danneggerebbe profondamente l’ideologia. Se invece si consente all’Isis di esistere in Siria per un periodo poniamo di cinque anni, ciò ne rafforzerà l’ideologia portando a un incremento degli attacchi in Europa e Stati Uniti”.



Quali possono essere le conseguenze della controffensiva dell’Isis a Kirkuk?

Una parte della popolazione di Siria e Iraq vede in modo positivo l’Isis perché è convinta che i sunniti stiano attraversando una fase di avversità. Pur ritenendo cioè che i sostenitori del califfato siano estremisti, li considerano come una speranza in quanto rappresentano pur sempre i sunniti. A Kirkuk è in atto uno scontro tra tre gruppi etnici: i curdi, i turcomanni e gli arabi. Questi ultimi probabilmente accoglierebbero l’Isis contro i peshmerga. Attaccando Kirkuk, l’Isis spera quindi di conquistare il sostegno degli arabi irakeni.



Per mesi gli Usa hanno contrastato l’Isis in modo debole. Perché questa improvvisa accelerata?

L’Isis è presente principalmente in due Stati, Siria e Iraq. In Siria, gli Stati Uniti finora hanno visto il califfato come uno strumento di pressione nei confronti di Assad. Fino a quando l’Isis sarà utile per tenere occupato lo Stato siriano e impedirgli di riconquistare l’intero territorio della Siria, gli Stati Uniti lo consentiranno. Cercheranno di contenerlo, faranno qualche bombardamento qua e là, ma mai in modo troppo serio.

Perché questa politica ambigua?

In sostanza gli Usa vedono nell’Isis uno strumento per rafforzare alcuni loro alleati e per indebolire alcuni loro nemici. Gli Usa per esempio considerano le milizie curde come un fattore importante in Medio Oriente, e quindi le supportano, le riforniscono di armi, le addestrano militarmente e offrono loro copertura aerea con l’obiettivo di consentire una loro avanzata nei confronti dell’Isis.



E la Turchia?

La stessa Turchia è un alleato degli Usa, sta creando una propria sfera d’influenza all’interno della Siria, e Washington è in qualche modo contenta di lasciare che ciò avvenga. Al contrario quando l’esercito siriano cerca di avanzare contro l’Isis, non c’è assolutamente nessun tipo di supporto.

Con quali conseguenze?

Uno potrebbe chiedersi se ciò possa incoraggiare l’Isis a posizionarsi nelle zone dove si trova l’esercito siriano. Un esempio è quanto è avvenuto a Deir El Zor, dove l’esercito siriano a lungo si è difeso dall’assedio dell’Isis. Dopo averne a lungo studiata la posizione, all’improvviso gli Stati Uniti hanno attaccato la postazione chiave di un’unità dell’artiglieria, consentendo all’Isis di impossessarsi di quel luogo.

 

Qual è invece l’atteggiamento degli Stati Uniti in Iraq?

E’ differente, in quanto gli Stati Uniti hanno aiutato il governo di Baghdad a contenere l’Isis e a respingerlo da alcuni luoghi conquistati in passato. La preparazione dell’offensiva di Mosul ha richiesto tempo perché le forze irakene non erano pronte. Dopo avere cacciato l’Isis fuori da Falluja e Ramadi, ora l’operazione può avere inizio.

 

Chi libererà Mosul?

Mosul dovrà essere liberata fondamentalmente dall’esercito irakeno. La sconfitta dell’Isis in Iraq è un processo che non è governato unicamente dalla volontà degli Stati Uniti, bensì anche dalla capacità delle istituzioni irakene. Il dato di fatto però è che la politica americana nei confronti dell’Isis in Iraq è differente da quella nei confronti dell’Isis in Siria.

 

Ma questo nel lungo periodo non rischia di essere controproducente in entrambi i quadranti?

In Siria gli Usa lasciano che l’Isis esista nella misura in cui tiene sotto controllo lo Stato siriano, impedendogli di risultare vincitore. In un certo senso ciò potrebbe portare a un rafforzamento dell’Isis, ma non necessariamente in Siria o in Iraq.

 

Allora dove?

Poniamo che gli Usa consentano all’Isis di rimanere in Siria per cinque anni: il rischio è che il califfato si rafforzi anche in altri Paesi come la Libia, o che sviluppi le sue capacità di strutturarsi, combattere e infiltrarsi. In questo modo potrebbe per esempio infiltrarsi in Europa e America mettendo in atto una serie di attentati. L’esitazione degli Stati Uniti non dà soltanto all’Isis un’opportunità operativa di mettere in atto degli attentati anche dal di fuori del Medio Oriente, ma anche un altro tipo di vantaggio.

 

Quale?

Per battere l’Isis bisogna sconfiggerne l’ideologia, e non soltanto la militanza. E sconfiggere l’Isis molto rapidamente dal punto di vista militare ne danneggerebbe profondamente l’ideologia. Facendo il contrario, invece…

 

(Pietro Vernizzi)