Continua la campagna mediatica a tutto campo e le condanne contro Mosca e Damasco: venerdì il consiglio dell’Onu per i diritti umani ha condannato i bombardamenti russi ad Aleppo ed è stata giudicata “patetica” quella che rappresenta l’unica possibilità di soluzione politica del conflitto: la richiesta di separare l’opposizione armata dai gruppi jihadisti che il rappresentante russo aveva chiesto di inserire come emendamento.  



La risoluzione non ha avuto nessuna considerazione del fatto che la Russia dal 20 ottobre ha interrotto i bombardamenti mirati sui quartieri di Aleppo est ed ha aperto 8 corridoi umanitari (di cui 2 per i combattenti che decidessero di uscire indenni) per consentire l’afflusso di aiuti all’interno dell’enclave e la fuoriuscita di civili. 



E in tema di “diritti umani”, la risoluzione ha ignorato che la cittadinanza residente ad Aleppo est è ostaggio dei terroristi. Infatti i corridoi umanitari aperti dai russi sono sotto costante tiro delle armi leggere e delle bombe di mortaio dei guerriglieri. L’agenzia Sir (Servizio Informazione Religiosa) ha riportato quando sta accadendo: “Aleppo, al via la tregua decisa da Mosca e Damasco. Ma i jihadisti sparano sui civili che vogliono lasciare la parte Est della città“. Ulteriori dettagli erano stati dati durante il briefeing tenuto il 13 ottobre dal Capo di stato maggiore delle Forze armate russe S.F. Rudskogo: la maggior parte dei combattenti anti-governativi non solo rifiutano di lasciare le proprie posizioni ma non consentono neppure la fuoriuscita dei civili. E se questi ultimi insistono, vengono giustiziati pubblicamente. Il sabotaggio dei ribelli ha impedito ai convogli umanitari promessi dall’Onu di accedere ai quartieri isolati. In questo contesto deteriore di grave sofferenza per i civili, la Ue ha deciso di inasprire ulteriormente le sanzioni contro la Siria.  



Intanto, i cannoneggiamenti sulle zone residenziali di Aleppo ovest non si sono mai interrotti: solo nella giornata di venerdì hanno causato 8 morti e 30 feriti. La notizia di questo quotidiano stillicidio umane, è confermata da tutti i vescovi di Aleppo.

Il problema di fondo è evidentemente che gli Usa ed i loro alleati rifuggono la stessa idea di Aleppo in mano governativa: se avessero voluto, minacciare i ribelli di togliere loro il supporto sarebbe stato sufficiente per ottenere il rispetto delle tregue. E’ tragicomico che solo Erdogan abbia tirato fuori 150 uomini della milizia Arar al Sham ed abbia addirittura promesso a Putin di adoperarsi per far uscire al Nusra.

Tuttavia gli eventi hanno preso un segno diverso: nella zona sudovest della città, ai jihadisti sono arrivati di rinforzo più di 1200 uomini molto ben equipaggiati e pronti a sferrare un contrattacco. Così la fragile tregua è già caduta: ieri sono ricominciati i bombardamenti russi e gli scontri tra l’esercito siriano e le milizie anti-Assad lungo la linea strategica nel sud-ovest di Aleppo dove queste ultime si stavano riorganizzando.

Le brutte notizie arrivano sempre insieme: un diplomatico russo ha dichiarato all’agenzia Ria Novosti che ai terroristi dell’Isis che lasceranno Mosul, sarà assicurata dalla coalizione Usa una via di fuga verso il nord della Siria: “Più di novemila militanti Isis saranno ri-dispiegati da Mosul alle regioni orientali della Siria per sferrare una offensiva di grandi dimensioni, che comporterà la cattura di Der Ezzor e Palmira”. La notizia è confermata anche dall’agenzia di stampa ufficiale turca Anadolu. 

Questa prospettiva sembra sia presa molto sul serio dal comando russo-siriano visto che due divisioni meccanizzate provenienti da Damasco sono giunte sabato ad Aleppo. Anche la componente aeronavale russa sarà rinforzata: la portaerei Kuznecov naviga nel Mediterraneo e dirige verso la Siria accompagnata da un’imponente squadra navale. Inutile dire che il capo della Nato Jens Stoltenberg già vede la cosa come una minaccia. Purtroppo negli ultimi tempi sembra che la Nato, in ogni momento di crisi, quando si è ad un passo dal risolverla pacificamente, ritiri sempre la mano. Chi oggi dice di “percepire la minaccia” è però lo stesso occidente che sta appoggiando la “rivoluzione” innescata da gruppi settari che non si sarebbero mai mossi senza un sicuro appoggio militare, politico e finanziario. 

E’ un mondo che, barando, vuol cambiare le carte in tavola: nel caso siriano, anziché rispettare e trarre vero profitto da secoli di cultura e memoria di cui è ricca la Siria, vuole fare tabula rasa e poi lucrare secondo le ambizioni di pochi. Non è questa la strada della presenza cristiana in terra siriana. Ed i tanti monasteri cristiani che ne portano memoria, lo dimostrano. 

Sono letteralmente piantati nel deserto, ma anche in mezzo alla guerra costituiscono luoghi di amicizia concreta per cristiani e musulmani. La presenza del monastero di Mar Yakub in Siria, nella località di Qara sui monti Qalomoun, vicino al Libano, risponde alle molte domande sollecitate da queste righe di cronache contraddittorie. La risposta dei monaci è stata tener viva la fede. Quando la carmelitana franco-libanese madre Agnese visitò per la prima volta nel 2000 quei luoghi, trovò solo dei ruderi. Ma da quelle rovine è nata una comunità monastica che ha scelto di pregare soprattutto per preservare l’unità della Chiesa. Poi, da quando è cominciato il conflitto nel 2011, la comunità ha cominciato ad organizzare distribuzioni per venire incontro ad un bisogno enorme.

I convogli di cibo e abbigliamento, organizzati dalle monache e monaci del monastero, sono arrivati lontano, fino alla campagna a sud di Aleppo, dove ci sono parecchi campi profughi e non arrivano le organizzazioni umanitarie. Madre Agnese ha promesso alle famiglie, la maggior parte musulmane, di continuare a soccorrerle nei bisogni primari. Da qui la grande operazione della consegna quindicinale dei pacchi a cui ci chiede di collaborare. Potrete voi stessi visitare il sito Mar Yakub Charity per vedere le iniziative in corso. Non sono iniziative che fanno ‘loop’ su se stesse ma che indicano la speranza di cui tutti abbiamo davvero bisogno.