Mentre l’America cerca ancora di smaltire le scorie del terzo dibattito fra Hillary Clinton e Donald Trump, c’è un terzo candidato che “rischia” di vincere le Elezioni Usa 2016. Mettiamo subito i paletti: non è Gary Johnson. Il candidato del Partito Libertariano ha deluso le aspettative di quanti, visto il suo passato da governatore Repubblicano del New Mexico, vedevano in lui una valida alternativa agli esponenti dei due maggiori partiti: troppe gaffes, troppa impreparazione, hanno fatto sì che le sue chances di essere poco più di una comparsa crollassero a picco. Chi è allora il vero terzo incomodo di questa tornata elettorale? Jill Stein? Neanche. La candidata dei Verdi non sembra avere l’appeal per proporsi come “la” candidata donna di questa elezione vista la presenza ingombrante di una certa Hillary Clinton. Allora di chi parliamo? Il suo è un nome nuovo, così nuovo che avendo deciso di scendere in campo ad agosto sarà presente sulla scheda elettorale soltanto in 11 stati: stiamo parlando di Evan McMullin. Cerchiamo di fare una breve presentazione del personaggio: McMullin ha 40 anni, è un ex agente della Cia, è laureato in Economia e ha un passato come consulente dei Repubblicani al Congresso; è popolarissimo nello Utah, lo stato in cui è nato e nel quale vive, tanto da aver superato nei sondaggi perfino Hillary Clinton. Secondo l’istituto Rasmussen, infatti, McMullin sarebbe attestato attualmente del 29% dei voti contro il 30% di Donald Trump: ciò vuol dire che al momento questo “signor nessuno” è in corsa per conquistare uno stato popolato da quasi tre milioni di persone. Questo ovviamente sarebbe di per sé un evento “epocale”, soprattutto considerando che un candidato indipendente non sottrae uno stato ai candidati dei partiti maggiori da quando nel 1968 le posizioni razziste di George Wallace fecero breccia in ben 5 stati americani. Ma cos’ha di tanto particolare Evan McMullin per insidiare 6 Grandi Elettori che per Donald Trump risultano ad oggi vitali? Gli argomenti più importanti sono principalmente due: la provenienza e la fede religiosa. Se McMullin è al 29% nello Utah è ovviamente grazie al fatto che questo è il suo stato di casa, ma cosa c’entra la religione? Come ricorda Il Post, lo Utah è uno stato i cui cittadini nel 2010 si sono dichiarati mormoni per il 60% e anche McMullin lo è. Questo significa che tutti quegli elettori che non si riconoscono nelle proposte e negli stili di vita adottati da Trump e Clinton, hanno una terza via: Evan McMullin, appunto. Il candidato indipendente sembra creato apposta per rompere le uova nel paniere a Donald Trump: in primis il profilo della sua candidatura, vista la sua vicinanza negli anni al Partito Repubblicano, alletta non poco quegli elettori del Gop che non avevano intenzione di tradire i propri ideali ma allo stesso tempo non volevano rassegnarsi all’idea di votare Trump. E a proposito di ideali, quei temi cari alla cosiddetta “destra religiosa” rappresentano di fatto i cavalli di battaglia di McMullin: a partire dalla contrarietà all’aborto, fino alla lotta contro le gravidanze indesiderate. Ma non bisogna essere per forza mormoni per apprezzare le idee di McMullin: semplicemente basta essere Repubblicani. Si pensi ad esempio all’idea che l’ex agente della Cia ha del ruolo che l’America deve ricoprire sullo scacchiere internazionale: McMullin vuole che gli Usa tornino ad essere protagonisti, e possibilmente interventisti, come piace a tanti conservatori vecchio stampo; in più afferma che il Secondo Emendamento, quello che garantisce il diritto di possedere armi, è il “cuore” della nazione. Pochi esempi che chiariscono il perché anche l’ex candidato del Grand Old Party alla Casa Bianca, Mitt Romney (a sua volta mormone), secondo Politico.com stia riflettendo sull’opportunità di pronunciarsi a suo sostegno. Parliamoci chiaro però: quante chance ha Evan McMullin di diventare il successore di Barack Obama? Sono davvero poche, ma ce ne sono. Come spiega il giornalista Benjamin Morris su FiveThirtyEight perché McMullin arrivi alla Casa Bianca devono verificarsi 3 condizioni: primo, vincere lo Utah; secondo, sperare che né Clinton né Trump raggiungano il magic number di 270 Grandi Elettori; terzo, giocarsi tutto al Congresso. Il primo punto è quello al momento più alla portata: McMullin è secondo nei sondaggi nello Utah, ma il suo trend è in forte crescita. Secondo punto: è “possibile” che Clinton e Trump non raggiungano i 270 Grandi Elettori necessari a governare. In questo caso lo scenario più probabile è una vittoria di Trump, al quale per governare potrebbero venire a mancare proprio i 6 delegati assegnati dallo Utah. A questo punto, senza nessun candidato con la maggioranza, cosa accadrebbe? Il 12esimo emendamento stabilisce che i tre candidati con più delegati vengano inviati al Parlamento. In questa sede ogni delegato è chiamato ad esprimere il suo voto e, per la cronaca, è già successo che un Grande Elettore non abbia confermato il proprio appoggio al candidato per il quale è stato Eletto. La prassi prevede che nel frattempo il Senato elegga il vicepresidente e, a seconda del partito che lo conquisterà, sarà il repubblicano Mike Pence o il democratico Tim Kaine. Ipotizzando il caso che in una situazione di sostanziale equilibrio, sui 50 voti del Congresso Trump ne abbia 24, Clinton altrettanti e McMullin 2 (lo Utah più il Nevada, il cui delegato Repubblicano non ha fatto mistero di non amare Trump), cosa succederebbe? Lo stallo potrebbe favorire proprio McMullin, che con l’andare dei giorni potrebbe portare dalla sua parte altri delegati repubblicani delusi dall’impossibilità di sbloccare le trattative per l’elezione di Trump. Gli Usa, però, hanno bisogno di un Presidente, e se il Congresso dovesse essere incapace di eleggerlo prima del giorno dell’Insediamento, ad occupare la carica di Presidente sarebbe proprio il running mate eletto: Pence o Kaine, a seconda del Partito che si è imposto al Senato, dicevamo. Sarebbe a questo punto che le acque potrebbero muoversi ancora di più a favore di McMullin: se il presidente in pectore fosse Pence, i democratici gli preferirebbero McMullin; allo stesso modo i repubblicani sarebbero più felici di votare McMullin piuttosto che tenersi un presidente democratico come Kaine. Ecco come Evan McMullin può diventare Presidente degli Stati Uniti vincendo in un solo stato: sì, perché se va troppo bene rischia di sottrarre Grandi Elettori utili proprio a Trump. È un equilibrismo non da poco, un gioco di incastri, una probabilità remota: ma esiste, Evan McMullin può battere Hillary Clinton e Donald Trump. (Dario D’Angelo)



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