Porta la data del 1982. “Il Progetto”, un documento di 14 pagine, venne scoperto nella villa svizzera di un importante affiliato ai Fratelli musulmani, tale Youssef Nada, durante una perquisizione della polizia confederale all’indomani degli attacchi dell’11 settembre 2001. Nada derubricò ovviamente il documento come “insignificante”, raccontando alla polizia elvetica che era stato redatto da generici “ricercatori islamici” nel 1982. Su questo testo, che sembra sospeso fra un piano d’azione di cospiratori e dei famigerati “Protocolli dei Savi”, è stato scritto finora un solo libro, del giornalista franco-svizzero Sylvain Besson (La conquête de L’Occident, Parigi, Seuil, 226 pp.), pubblicato nel 2005 e rimasto intradotto nelle altre lingue. Questo documento inspiegabilmente non viene diffuso.



Il contenuto del “Progetto” è inquietante, ma per molti versi prevedibile. Come altri piani cospirativi — si pensi a certi programmi di manipolazione dell’opinione pubblica come quello tracciato da Marshall Kirk ed Erastes Pill nel 1987 intitolato “The Overhauling of Straight America” (“Il superamento dell’America normale”) volto alla conquista dei media statunitensi da parte dei gruppi di pressioni omosessuali — si avvale di tecniche di psy-op, guerra psicologica, che proprio negli anni Ottanta cominciavano a vedere la loro piena maturità. E la principale strategia di guerra psicologica nel “Progetto” è rappresentata dall’uso spregiudicato della taqiyya, la “dissimulazione”, il meccanismo orwelliano con il quale un fedele islamico può mentire, comportarsi in maniera occidentale sin quasi a infrangere i dettami del Corano per il superiore scopo di depistare l’infedele e fargli abbassare la guardia fino al momento opportuno per colpirlo e sottometterlo.



Il “Progetto” è composto da 25 punti. Nei primi si parla di organizzazione: creare reti di Fratellanza musulmana; mantenere l’apparenza di “moderazione”; infiltrare le altre organizzazioni islamiche per riallinearle agli scopi del “Progetto”; usare la taqiyya; evitare conflitti aperti con le autorità dei paesi occidentali. 

Si passa quindi alla fase operativa: raccolta di informazioni e costruzione di database; controllo dei media; creazione di think tank e gruppi di pressione, pubblicazione di studi universitari che legittimino le posizioni e la particolare visione della storia della Fratellanza musulmana. E ancora, sviluppare piani d’azione flessibili nell’ottica di una strategia lunga cento anni (quindi in grado di essere portata avanti per più generazioni); creare reti di sostegno sociale — scuole, ospedali, organizzazioni sociali — per diffondere gli ideali islamisti, infiltrare elementi della Fratellanza musulmana all’interno delle istituzioni democratiche occidentali, nei partiti, nelle Ong e nei sindacati, “sfruttando le istituzioni occidentali finché esse possano essere convertite e messe al servizio dell’Islam” (punto 13). 



Dal punto 14 in poi il complotto anti-occidentale diventa sempre più evidente: “redigere costituzioni, leggi e programmi islamici che possano essere implementati”; “istituire alleanze con forze politiche occidentali progressiste”; “creare forze di polizia autonome per proteggere i mussulmani nei paesi occidentali”; “far sì che i mussulmani che vivono in Occidente abbiano una costante forma mentis jihadista”.

Gli ultimi punti si concentrano invece sul problema palestinese, considerato come strumentale ad innalzare la temperatura ideologica dello scontro, fomentare l’antisemitismo senza quartiere e senza dialogo, affinché il movimento di liberazione della Palestina venga sfruttato in chiave jihadista anziché nazionale.

A quasi venticinque anni da quando queste “istruzioni di servizio” sono state redatte il bilancio è pauroso: mentre il problema palestinese, mercé anche le abilissime contromosse israeliane, si è notevolmente ridotto come impatto e importanza — basti pensare al fatto che l’Isis non ha finora portato un solo attacco contro Israele e che nessun partito emerso dalle “primavere arabe” e ispirato alla Fratellanza musulmana ha tirato fuori la questione palestinese — è l’infiltrazione nelle società occidentali il principale fronte di questa guerra di conquista. I media vengono sponsorizzati direttamente o indirettamente dai petrodollari delle monarchie salafite, così come i partiti politici “progressisti”, Hillary Clinton prima fra tutte. L’immigrazione sta creando reti sempre più estese di islamisti che tutto sono tranne che “integrati” nelle società che li hanno accolti, anche nelle seconde e terze generazioni. Nei paesi europei che vengono follemente definiti come “più progrediti” interi quartieri sono sotto il controllo di polizie private che impongono la sharia. Leggi sulla cosiddetta “islamofobia” sono allo studio di parlamenti nazionali e di quello europeo. Non c’è alcun dubbio che questo documento del 1982 sia stato ampiamente aggiornato e circoli, di fatto, più pericoloso che mai fra i simpatizzanti e gli attivisti della Fratellanza musulmana immigrati nelle nazioni europee.