Le Elezioni Usa 2016 stanno per giungere a conclusione: l’8 novembre è sempre più vicino e presto sapremo se il nuovo inquilino della Casa Bianca sarà Donald Trump o Hillary Clinton. Quello che non tutti sanno, però, è che l’Election Day che chiamerà alle urne milioni di cittadini americani servirà non solo ad eleggere il nuovo Presidente degli Stati Uniti, ma comporterà anche il rinnovo di una percentuale importante dei seggi alla Camera dei Rappresentanti e al Senato. Ora qualcuno di voi potrebbe pensare: ma cosa interessa a noi del Parlamento americano? Già siamo impegnati a cercare di capire le sfumature della riforma renziana oggetto del referendum costituzionale del prossimo 4 dicembre, figuriamoci se dobbiamo interessarci anche delle questioni degli onorevoli a stelle e strisce! Bene, l’obiezione è comprensibile, ci sta tutta. E noi per primi non amiamo i tecnicismi. Ma capire cosa può succedere nel Congresso americano tra poco più di dieci giorni è fondamentale per sapere quale sarà il destino di chiunque vincerà le Presidenziali, che sia Hillary o che sia Trump. Un esempio evidente di quanto gli equilibri al Congresso possano influenzare il lavoro di un Presidente lo si è avuto durante l’ultimo mandato di Barack Obama. Il Presidente in carica ha infatti dovuto convivere con una situazione che vede i Repubblicani detenere la maggioranza alla Camera dal 2010 e al Senato dal 2014. Cosa ha comportato tutto ciò? Ad esempio che Obama, in qualità di Democratico, si è visto mettere i bastoni fra le ruote su molte proposte, e per attuare almeno parzialmente le sue politiche ha dovuto ricorrere ai cosiddetti ordini esecutivi, degli atti simili ai nostri decreti legge per l’immediatezza con la quale entrano in vigore, che consentono al Presidente di non dover passare per forza dall’approvazione dal Congresso. Il lato negativo di questo modo di governare è che questi ordini esecutivi possono essere stravolti e azzerati dal successore di Obama con grande facilità, cosa che invece non avverrebbe per abrogare una legge approvata dal Congresso. In più c’è la questione sempre pendente riguardante la scelta del giudice della Corte Suprema da sostituire al defunto Antonin Scalia: Obama aveva indicato come profilo Merrick Garland, ma i senatori Repubblicani si sono rifiutati di prendere una decisione così delicata in periodo di elezioni e soprattutto visto che il Presidente è a fine mandato. Ora che abbiamo chiarito l’importanza delle Elezioni alla Camera dei Rappresentanti e al Senato, vediamo chi ha più probabilità di vincere tra Democratici e Repubblicani.
L’8 novembre 2016, alla scadenza di un mandato durato 2 anni, verranno rinnovati tutti i 435 seggi della camera bassa americana, quella che viene comunemente indicata come The House. Il sistema elettorale della Camera dei Rappresentanti prevede che venga eletto un deputato per ogni collegio. Da ciò ne deriva che più uno stato è grande e popoloso, più saranno i collegi e di conseguenza i deputati appartenenti a quello stato ad essere eletti. Nel cercare di capire da che parte penderà l’ago della bilancia alla Camera dei Rappresentanti bisogna tenere conto del cosiddetto gerrymandering, la pratica che consente a chi governa un determinato stato di ridisegnare i collegi elettorali in modo da sfavorire il partito rivale, magari spacchettando i distretti in cui l’avversario è più forte in termini di voti, in modo da impedirgli di sommarli. Le speranze dei Democratici di strappare ai Repubblicani il controllo della Camera dei Rappresentanti al momento sono molto basse. Questo perché, come ricorda Il Post, dei 435 seggi che verranno rinnovati, sembrano essere in bilico soltanto 37; sei di questi sono occupati dai democratici, che per ottenere la maggioranza devono guadagnarne 30 rispetto all’ultima volta. Difficile no? Per ottenere qualcosa di simile Hillary dovrebbe stravincere contro Trump portando elettori democratici in massa alle urne, e anche se questo scenario non è improbabile non è comunque detto che alla fine il volere del popolo abbia la meglio sul machiavellico gerrymandering.
Le cose al Senato sono un po’ più semplici: i senatori sono in tutto 100 e ogni due anni si vota per rinnovarne un terzo. Quest’anno si lotta dunque per 34 seggi e, secondo il portale del noto sondaggista Nate Silver, fivethirtyeight.com, ad oggi i democratici hanno il 67,6% di possibilità di controllare il Senato. Attualmente i Repubblicani hanno 54 senatori contro i 44 dei Democratici, che però possono contare sul sostegno pressoché scontato di Bernie Sanders, senatore del Vermont, e di Angus King del Maine. Dei 34 seggi messi in discussione in questa tornata 24 sono Repubblicani e 10 Democratici: il ché vuol dire che il Gop ha più da perdere. Se il Partito dell’Asinello riuscisse a riconfermare i suoi 10 senatori e a strapparne altri 4 ai Repubblicani il controllo al Senato sarebbe praticamente cosa fatta dal momento che il vicepresidente vale come 101esimo senatore in caso di parità; e siccome stiamo ripetendo da settimane che Hillary Clinton è la grande favorita di quest Elezioni Usa 2016 è altrettanto probabile che il vice possa essere il suo running mate Tim Kaine.
Questo è il quadro completo, ma in breve, delle Elezioni Usa 2016: di tutte, non solo di quelle fra Clinton e Trump, e forse è il caso di dire delle più importanti, perché non esiste Presidente senza Parlamento. (Dario D’Angelo)