Noto con piacere che, da qualche tempo, su queste pagine fioriscono articoli che mettono quantomeno in discussione il mito degli Usa come alleato fedele ed esempio a cui guardare: meglio tardi che mai. Il problema è che siamo ancora una minoranza e certi avvenimenti di enorme gravità, qui passano ancora sotto silenzio. Ma basta prendere l’auto e guidare per meno di un’ora e, magicamente, si scopre che ciò che i fenomeni dell’anglofilismo hanno bollato per decenni come complottismo, è semplicemente realtà. Bastava andare in Svizzera e comprare, il 5 ottobre scorso, il Corriere del Ticino, giornale certamente non tacciabile di simpatie con il Cremlino per scoprire quanto rilanciato ancora ieri dall’amico Marcello Foa, direttore della testata. Sfrutto le sue parole per riassumere e per brevità. 



Per 5 anni il Pentagono ha stipulato un contratto con una società di pubbliche relazioni britannica, la Bell Pottinger, per operazioni di propaganda e di guerra psicologica in Iraq, in cambio di un compenso non da poco, 540 milioni di dollari. Un videomaker, Martin Wells, ha svelato l’esistenza di questo programma al Bureau of Investigative Journalism: tranquilli, non leggerete nulla di tutto questo sui giornali dell’ingegner De Benedetti, quelli amano solo le buffonate come i Panama papers. Le attività erano diverse, ma le più sensibili erano due, cosiddette di propaganda grigia e nera: la produzione di finti servizi televisivi, poi diffusi alle emittenti della regione, e di filmati di propaganda, che venivano falsamente attribuiti ad Al Qaeda. Alcune immagini erano girate in proprio (“Mandavamo squadre di operatori a effettuare filmati in bassa definizione degli attentati di Al Qaeda”, ricorda Wells), in altri casi venivano usati filmati esistenti. 



La propaganda nera si tramutava in un video in apparenza di Al Qaeda di 10 minuti, inciso su dei cd che poi venivano lasciati furtivamente dai marines durante i raid nelle case e nei villaggi e dotati di un codice che consentiva di tracciare chi li guardava al computer e di trasmettere l’indirizzo IP tramite Google Analytics. Un’operazione di intelligence, che è stata ripetuta numerose volte. Insomma, avete presente quei filmati di nefandezze di ogni genere che vi hanno fatto ribaltare le budella e accettare qualsiasi tipo di avventura bellicista Usa, purché avessero fine? Bene, erano dei falsi nella maggior parte dei casi. Fatti bene ma falsi, propaganda, le cosiddette psyops, operazioni di guerra psicologica, lanciate in grande stile dai servizi britannici durante l’offensiva contro l’Ira voluta da Margaret Thatcher. 



E qui nascono i problemi, come fa notare Foa nella sua riflessione, resasi necessaria dopo l’ondata di riscontri ottenuta dai lettori. Perché negli ambienti jihadisti sono circolati per anni filmati autentici di Al Qaeda e altri che sembravano di Al Qaeda, ma che erano stati prodotti dalla società britannica Bell per conto del Pentagono. “Filmati che, come ci hanno ripetuto all’infinito gli esperti, solitamente finiscono sul web, nella chat riservate, nei siti dei fanatici islamisti che, ad esempio, il famoso Site della cacciatrice di jihadisti Rita Katz monitora costantemente, producendo scoop poi ripresi non solo dai media mediorientali, ma anche, e talvolta soprattutto, da quelli occidentali. Ma i video diffusi – nel periodo 2006-2011 – erano davvero tutti di produzione di Al Qaeda? O ne avevano le sembianze, ma in realtà erano un’elaborazione del ministero della Difesa americano? E cosa contenevano quei messaggi?”, chiosava Foa. 

Mi spingo oltre: alla luce di quanto emerso e non smentito da alcuno, chi ci dice che i terrificanti video dell’Isis che sono circolati per mesi in rete e nei telegiornali, ancorché censurati in quest’ultimo caso, siano veri? Chi ci dice che non siano anch’essi frutto di manipolazioni, di set creati ad arte, di situazione non esistenti nella realtà? Insomma, chi ha bisogno dell’amico immaginario, dopo averlo creato nella realtà e abbandonato quando divenuto non più utile, proprio come Al Qaeda? L’inchiesta del Bureau non chiarisce tutti i dettagli, per carità, ma vista la delicatezza della materia questo non dove stupire. 

Interpellate, le autorità americane si rifiutano di fornire spiegazioni più precise, ma ammettono che “la Bell lavorava per l’Information Operations Task Force (Iotf), producendo materiale che in parte è stato comunicato alle forze della coalizione citando la fonte e in parte nascondendola”. Dunque traendo in inganno non solo i seguaci jihadisti, ma gli stessi alleati. E conseguentemente anche i media. Quindi, anche noi. O meglio, la gran parte di noi ancora così credulona da pensare che gli americani muovano guerra in nome della libertà e non dei dollari o della geopolitica. Ricorda ancora Foa che il Pentagono insiste sul fatto che il materiale fosse truthful, ovvero attendibile o veritiero, ma è ben diverso dall’affermare che fosse vero. Inoltre, l’inchiesta afferma che la società inglese lavorava in “un’operazione militare riservata coperta da numerosi accordi segreti” e che la Bell Pottinger riportava al Pentagono, alla Cia e al National Security Council. Tale era il livello di strategicità che le attività più sensibili dovevano ricevere l’ok del generale Patraeus in persona. 

Conclude Foa: “Come ho spiegato nel mio commento, non c’è da stupirsi per queste attività; rientrano nelle attività di intelligence. Il punto è che nell’era della comunicazione globale e di internet non sono limitate al teatro di guerra, ma finiscono per contagiare anche i media in tutto il mondo, influenzando le nostre opinioni pubbliche, che non possono accettare a cuor leggero che un filmato di Al Qaeda possa essere in realtà una produzione del Pentagono. Non dopo aver avuto la prova che la guerra in Iraq contro Saddam Hussein è stata proclamata sulla base di accuse inventate. È una questione di credibilità; e quella americana, purtroppo, è da tempo fortemente incrinata”. 

Eh già, la guerra in Iraq contro Saddam, quella scatenata dalle fialette di Gaviscon di Colin Powell al Consiglio di sicurezza dell’Onu. E ora, per evitare che esercito siriano e russo liberino del tutto Aleppo dal nuovo Frankenstein sfuggito un po’ di mano, ovvero l’Isis, cosa si inventeranno? Ci hanno provato con il bombardamento al convoglio Onu, ma i droni e i radar hanno dimostrato che non sono stati né siriani, né russi. Ci hanno provato, aiutati dall’Unicef senza vergogna, dimostrando che sempre russi e siriani stanno facendo strage di bambini ad Aleppo Est, zona della città dove sono intrappolate – a causa dell’Isis che le tiene sotto scacco e le usa come scudi umani – 250mila persone, ma anche in questo caso le immagini dei convogli russi che entrano nell’area portando generi di conforto alla popolazione civile, tra cui molti bambini, hanno smontato le balle di Pentagono e soci. 

(1- continua)