Ad una settimana esatta dal voto, le Elezioni Usa 2016 hanno vissuto uno dei colpi di scena più inaspettati di una corsa alla Casa Bianca che comunque mai è risultata prevedibile o scontata. La notizia che l’FBI ha scoperto nuove email potenzialmente scottanti per Hillary Clinton ha di fatto rimesso in carreggiata Donald Trump, che può quanto meno sperare negli ultimi 7 giorni che ci separano dall’Election Day: un lusso, questo, che fino all’arrivo della cosiddetta “sorpresa d’ottobre” al Repubblicano non era concesso. Eppure, nonostante le accuse comunicate dal direttore dell’FBI James Comey non siano circoscritte, è Hillary il soggetto chiamato a reagire, sono i Democratici quelli costretti a studiare un piano che consenta alla Clinton di venirne fuori senza troppi danni. Come riporta Politico.com, in seno al Partito Democratico, dopo una fase di panico fisiologica seguita allo scoppio improvviso dello scandalo, è andato diffondendosi il convincimento che il cosiddetto email-gate debba essere trasformato da grande grattacapo ad arma vincente. Non è un caso che i volontari e i componenti della campagna elettorale di Clinton abbiano intensificato la loro attività sul territorio. Vogliono essere sicuri di non lasciare nulla al caso: se prima qualcuno poteva concedersi di approcciare la questione con relativa rilassatezza, oggi le cose sono radicalmente cambiate. Alcuni strateghi del suo staff valuteranno ad esempio l’opportunità di spedire eventualmente Hillary in visita in quegli stati che fino a pochi giorni fa venivano dati come certi (vedi Michigan, New Hampshire e Colorado) e che invece oggi potrebbero essere tornati in bilico. Da parte sua la Clinton non sta evitando di proposito la questione, anzi, sta cercando probabilmente di utilizzare in maniera sottile uno degli argomenti preferiti da Trump: la teoria del complotto. Intervenendo di fronte ad una platea di sostenitori a Daytona, in Florida, come ha esordito Hillary? Parlando di James Comey e della notizia dell’email-gate: subito dopo una pausa, fatta apposta per essere riempita dai fischi di disapprovazione del pubblico. In ogni caso il messaggio che si cerca di far passare, probabilmente per rassicurare prima se stessi e poi tutti gli altri, è che con 16 milioni di americani già recatisi a votare, le possibilità che Trump riesca a rimontare tutto lo svantaggio accumulato in mesi di campagna elettorale sono comunque basse. Certo gli indecisi sono ancora tanti ma, spiegano dal quartier generale di Hillary, chi doveva farsi un’idea sulla questione delle email se l’è fatta già da tempo: non sarà una possibile inchiesta aggiuntiva a compromettere il giudizio che gli americani hanno della candidata democratica. C’è poi da considerare la questione di quei battleground states che non sono stati coinvolti nel processo del voto anticipato. Pennsylvania e New Hampshire, stati cruciali nella conquista del magic number di 270 Grandi Elettori, potrebbero davvero essere alla portata di Trump dopo quest’ultimo scandalo. Dunque è per questo motivo che Hillary deve essere brava a calibrare i due sentimenti che a sette giorni dal voto potrebbero risultare cruciali per l’esito delle Elezioni Usa 2016: da una parte ha bisogno di mostrarsi salda, sicura di sé e del vantaggio costruito in questi mesi; dall’altra deve assicurarsi che tutti i suoi volontari, simpatizzanti ed elettori si mobilitino, convincano gli indecisi che l’inchiesta dell’FBI sarà un nuovo buco nell’acqua, e l’8 novembre vadano in massa a votare. Un equilibrio difficile da raggiungere, ma che Hillary, dall’alto della sua esperienza, sa come ottenere. Ne ha dato dimostrazione a Des Moines, in Iowa, nella conferenza stampa seguita alla diffusione della lettera inviata al Congresso dal capo dell’FBI: in quella sede Clinton ha detto che bisogna continuare a premere il piede sull’acceleratore, perché Trump sostiene di poter ancora vincere, e ha ragione. Nel diffidare i suoi sostenitori dall’abbassare la guardia, però, Hillary ha anche pensato a come rassicurarli. La democratica ha detto che per stessa ammissione di Trump, perché possa materializzarsi effettivamente la rimonta, è necessario che si verifichino tre condizioni: che le donne restino a casa, che i giovani restino a casa e che le persone di colore restino a casa. Uno scenario, questo, che confermerebbe la superiorità dell’elettorato di Hillary, se è vero che sommando donne, giovani e afroamericani, si ottiene più della metà della popolazione americana. Qualcuno sostiene che alla fine la questione delle email avrà sulla campagna di Hillary l’effetto di un semplice mal di testa; d’altra parte nello staff dei Repubblicani c’è chi crede nella rimonta, soprattutto in uno stato-chiave come la Pennsylvania, sottolineando l’errore strategico dei Democratici di concentrare tutti gli sforzi nella roccaforte Philadelphia e di abbandonare al proprio destino le periferie. Sono punti di vista rispettabili, tutti quanti. La questione di fondo, però, sembra essere un’altra. Bisogna dare ragione a Hillary sul fatto che chi doveva scegliere di non votare per lei per la questione delle email probabilmente ha già deciso di farlo mesi fa, quando il suo modo di gestire il suo account privato di posta elettronica era all’ordine del giorno. Nella novità di un potenziale scandalo non c’è nessuna novità. La domanda è sempre la stessa: meglio votare Hillary Clinton e scegliere di accettare tutte le sue opacità e le sue contraddizioni, o optare per Donald Trump? È la prospettiva di un salto nel vuoto, che forse salverà la Democratica. Nella campagna per le Presidenziali americane degli scandali, quello più grande è probabilmente che sia Trump il candidato Repubblicano. (Dario D’Angelo)