William Butler Yeats, il grande poeta irlandese che tanti abbiamo amato, affermò che la ragione della Rivolta di Pasqua del 1916, che scatenò la repressione inglese e fondò il mito dei Volontari Irlandesi e dell’Ira, risiedeva in ciò che egli definiva “the anger”, ossia la collera,l’ira,il rancore dei dimenticati, dei poveri e in quel caso dei patrioti.
La vittoria di Trump non ha nulla a che vedere con il populismo tanto sbandierato e che possiede ormai una sua storica fisionomia tutta fondata in verità solo sulle trasformazioni sudamericane. La collera che ha portato al potere della Presidenza nordamericana Donald Trump è soprattutto la disuguaglianza non rappresentata, dimenticata, oltraggiata non solo da anni e anni di neoliberismo dispiegato, ma soprattutto dalla dimenticanza che ne ha accompagnato la sua discesa sociale nei gironi del lavoro nero, del precariato, delle ristrutturazioni industriali condotte da manager super pagati che ostentato indifferenza nei confronti dei loro collaboratori verso i quali esibiscono solo il fatto di non conoscerli e di non riconoscerli. E l’insicurezza crescente della gioventù dilaga.
Contestualmente a tutto ciò, ecco quel che io ho chiamato “il rovesciamento della rappresentanza”, ossia la capacità che i movimenti di destra – e Trump è la destra più destra che ci sia – hanno dimostrato in tutto il mondo, dall’Uk alla Francia sino alle Filippine, di intercettare e rappresentare questa collera crescente. La sinistra internazionale ha seguito Blair e Clinton e ha per venti e più anni anteposto la fregola del governo all’obbligazione di rappresentare gli ultimi, lavorando passo passo per loro, raggiungendo obbiettivi intermedi che non a caso son possibili da conquistare nelle democrazie grazie al faticoso lavoro di rappresentanza prima di governare. L’indebolimento pauroso dei movimenti sindacali mondiali altro non è che la prova di questa resa della sinistra. Ma il fenomeno più cruciale è il crollo del centro politico e sociale che ha generato più di ogni altra faglia sociale il crollo dei Democratici Usa e di Hillary Clinton. E sarà il crollo delle democrazie cristiane e dei socialisti europei o almeno di ciò che resta di essi.
Questo cambiamento non scuoterà la situazione internazionale più di quanto già non sia successo con le politiche estere dei Bush e della coppia Obama-Clinton in Medio Oriente. Dopo la guerra dell’Iraq del 2003, la credibilità e la potenza degli Usa sono state messe in forse. E solo una conservazione e un ampliamento della potenza esportatrice di sicurezza della nazione nordamericana potranno ricreare una situazione di nuovo equilibrio di potenza nel mondo. La vera scelta sarà quella di non dover compiere una politica estera che aggravi le relazioni con la Russia, che deve rimanere un punto di riferimento sia per l’Europa, sia per gli stessi Usa.
Essenziale sarà mutare la politica economica europea che uccide la ripresa mondiale e inevitabile sarà arginare l’aggressività cinese che cresce con l’indebolirsi della sua economia. Il commercio estero sarà la cartina di tornasole di quanto profondo sarà il cambiamento. Certamente un nuovo protezionismo selettivo sarà inevitabile per arginare la collera di cui parlavo: la capacità politica risiederà nel far sì che questo protezionismo selettivo non distrugga i passi innanzi compiuti con l’ampliamento dell’accumulazione capitalistica e dell’inserzione nell’economia mondiale di miliardi di nuovi protagonisti.
Ma è il modo con cui ciò è avvenuto che sarà necessario mettere in discussione senza risentimenti, senza pregiudizi ideologici e senza quel rancore da ricchi che non possiedono quella morale che tempera il mercato e che ci ha accompagnato tanto debolmente per troppi questi anni. Molto cambierà e nulla rimarrà eguale.