La ricandidatura di Angela Merkel alle elezioni generali tedesche del prossimo anno è stata preannunciata dalla Cnn: tv ultra-sostenitrice di Hillary Clinton per la Casa Bianca,. Ma la Cnn è stata, soprattutto, il medium-simbolo dell’Era Globalista: il trentennio iniziato a destra (senza se e senza ma) da Margaret Thatcher e Ronald Reagan, temperato al centro da Tony Blair e Bill Clinton, concluso a “sinistra” (con molte virgolette) da Barack Obama. E’ (stato) il trentennio di “Fine della Storia”, bruscamente interrotto una settimana fa dalla vittoria di Donald Trump: contro cui – a prima vista – la cancelliera tedesca sembra ora intenzionata a “resistere-resistere-resistere”. Il voto politico tedesche 2017 come “rivincita” delle presidenziali americane 2016? E quante chance reali ha Merkel di assicurarsi un quarto mandato ma soprattutto quale mandato? Non corre il rischio di far la fine di Hillary contro un suo Donald?



Il primo dato rilevante sembra più culturale che geo-politico. Tattica grandissima nel miscelare cautela e spregiudicatezza, Merkel ha subito colto lo smarrimento angosciato di decine, centinaia di milioni di abitanti del pianeta terra di fronte all’avvento di Trump. E con la stessa velocità vincente del suo maestro Helmuth Kohl sulla riunificazione tedesca dopo la caduta del Muro, si è subito proposta come exit strategist, come nuovo garante di un ordine cosmopolita invecchiato e per molti versi sbagliato, ma non ancora vinto . Un ordo che il trumpismo sembra voler distruggere e che – per la verità – non è stato creato dai cancellieri tedeschi. Un “ordine” che la Germania (l’Europa continentale) ha anzi spesso subito.



Il “Washington Consensus” è nato come anglosassone negli uffici del Fondo monetario internazionale: il carabiniere dell’economia globale investito a a Bretton Woods, quando ancora in Europa la Germania nazista combatteva. Dopo settant’anni la Germania è una democrazia di mercato compiuta. ma non allineata al neo-liberismo egemone cresciuto fra la City e Wall Street (semmai è ancora ispirata da un ordo-liberismo etichettato come “Economia sociale di mercato” e intessuta di capitalismo “renano”). E’ ridivenuta una potenza economica e tecnologica che le consente nei fatti una leadership politica in Europa, ma non completa e formalizzata: al vertice della sovranità finanziaria europea (Ia Bce) c’è un italiano neo-liberista, globalista, anglosassone, osteggiato ovunque in Germania. Naturalmente il paese vinto nel 1945 non è né poteva essere finora una potenza militare, ma solo una zona di occupazione per le forze della Nato (ma è un altro grande “ordine” postbellico che la “nuova America” vorrebbe ora rimettere in discussione).



La Gran Bretagna persa nel vicolo cieco di Brexit, come ha rivelato un significativo leak del Times. l’Italia dell’esagitato Renzi, l’ultimo leader europeo ricevuto da Obama prima del tracollo dell’8 novembre;. La Francia della fallimentare presidenza Hollande, fra Bataclan e lepenismo. I paesi dell’Europa centro-orientale ma soprattutto Russia e Cina: nella continuità territoriale eurasiatica che gli Usa di Obama hanno interrotto con le sanzioni ucraine, con il tentativo di attrarre Pechino in una macro-area del Pacifico e di tenere a bada la Ue con il Ttip atlantico. Quanti fronti sconvolti dal trumpismo possono guardare alla ricandidatura di Merkel come a un nuovo riferimento strategico: come al possibile centro di gravità geopolitico fra i paesi più o meno “non allineati” con l’America di Trump e spaventati dalle sue ricette per i guai del pianeta.  

Obama aveva forse immaginato la visita alla Grecia di Alexis Tsipras come la celebrazione della vittoria “politicamente corretta” sulla crisi economica, comprendente la delegittimazione del rigorismo tedesco.  Nelle stesse ore è stata invece Merkel a prospettare un virtuale “asilo politico” per l’obamismo braccato dal trumpismo in patria e costretto a marciare nelle piazze americane come neg,li anni 60. Certo, anche il cancelliere tedesco osserva da tempo con inquietudine le inquietissime piazze tedesche: quelle del truce flash mob islamico di Colonia, quelle riempite sempre più dai nazionalisti xenofobi di Alternative fur Deutschland.

Anche Merkel ha una rust belt pronta a rivoltarsi alle spalle: quella dei fondi-pensione dei lavoratori tedeschi messi sotto pressione dai tassi zero (voluti dai quantitative easing di Fed e Bce).  Anche Merkel è circondata da una business community in tumulto: Volkwagen e Deutsche Bank bombardate proprio dalla Washington obamiana; migliaia di grandi e piccoli esportatori bloccati alla frontiera russa; un rapporto con la Cina alla verifica decisiva sulla possibile vendita di Aixtron a investitori di Pechino.

Chi potrebbe sistemare queste “sporche faccende” se non Mutti Angela, la Signora di Berlino? Lei si mette a disposizione e la sua scommessa personale di chiedere agli elettori tedeschi un quarto mandato – concesso dall’America solo a Roosevelt a guerra quasi vinta – certifica sicuramente la caratura politica del Primo Cancelliere Donna Nato a Est. A François Mitterrand i francesi diedero 14 anni all’Eliseo sul finire del “secolo breve”: ma fu proprio lui a rendere chiaro a tutti che – età e salute a parte – il mondo era divenuto troppo complesso e correva a velocità troppo accelerata per “un uomo solo al comando” di un paese nazionalista. Margaret Thatcher fra privatizzazioni e guerre – non durò più di un decennio e fu eliminata da una congiura interna di partito.

Merkel punta ora a portare da 12 a 16 anni la sua leadership euro-tedesca, fino alle soglie del terzo decennio del ventunesimo secolo. Se votasse l’élite globale (quella drammaticamente frustrata dalla sconfitta di Hillary Clinton) Angela vincerebbe oggi a mani basse. Ma il voto lo dovrà cercare fra 62 milioni di tedeschi. Che però, da ieri, sanno che l’appuntamento elettorale sarà un referendum: pro o contro Merkel, pro o contro una grande coalizione “di civiltà europea” contro il il populismo trumpiano ma anche contro un globalismo obsoleto. Pro o contro una visione del mondo che non è quella di Trump. ma non è mai stata neppure quella dell’asse Washington-New York dagli anni ’90 in poi. Una Germania che sembra sfidare frontalmente l’America su un altro “passato che non passa mai”: quel falò che a Wall Street è sempre acceso e alimenta la torcia della Statua della Libertà. L’America che ha sicuramente sconfitto Oltre Atlantico i demoni hitleriani e quelli staliniani, ma non ha mai domato completamente i propri.