Caro direttore,

Vista dalla Germania non è tra i più piccoli motivi di preoccupazione l’atmosfera di gelo in cui si è svolto il recente viaggio in Turchia del ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier, che tra l’altro è il candidato della grande coalizione (Cdu-Csu-Spd) alle prossime elezioni per la presidenza della Repubblica federale tedesca. 



Il presidente Recep Tayyip Erdogan si è reso solo all’ultimo momento disponibile a riceverlo, per poi, nella foto con la classica stretta di mano, mostrare una faccia gelida. Il suo collega turco Mevlüt Çavusoglu ha poi pubblicamente, in una conferenza stampa ad Ankara, accusato la Germania di ospitare migliaia di membri del partito dei lavoratori curdo, che in Turchia è proibito e di non collaborare nell’estradizione dei membri del Movimento Gülen, che si ritiene responsabile del fallito putsch nell’estate scorsa (Muhammed Fethullah Gülen, predicatore, scrittore e imam turco, nemico attuale numero uno del presidente Erdogan, si trova attualmente negli Stati Uniti). Quando Steinmaier a sua volta ha criticato il governo turco dicendosi preoccupato per la situazione dei diritti dell’uomo e della libertà di stampa in Turchia Çavusoglu ha replicato, come si può leggere nella Bild Zeitung, che la Germania farebbe la corte a “cosiddetti giornalisti” che hanno contatti con “terroristi malati di mente”. Infine, afferma MDR aktuell (programma di informazioni radio della Germania centrale), il ministro degli Esteri turco ha detto che il suo paese “ha le tasche piene” del trattamento saccente dell’Europa nelle trattative per favorirne un ingresso (Erdogan vuole fare anche su questo tema un referendum). Çavusoglu ha difeso anche il ripristino della pena di morte in Turchia perché il popolo turco avrebbe il diritto di difendersi dai membri del Movimento Gülen. 



Durante la conferenza stampa, secondo Spiegel, Steinmeier non ha potuto più nascondere completamente la sua rabbia per le accuse turche. Pur rimanendo nell’ambito dell’atteggiamento classico di un diplomatico, Steinmeier si è detto “perlomeno irritato” per le affermazioni del suo collega, respingendo l’accusa che la “Germania sia un “porto sicuro per i terroristi”, ma ha dato infine un giudizio positivo del viaggio: un dialogo in cui ci si è detti la propria opinione in modo aperto, anche “se non del tutto facile”.

Trovo la notizia preoccupante perché dal rapporto con la Turchia non dipendono solo le trattative per il suo ingresso in Europa. Questo certo sarebbe un bene per i cristiani e per i musulmani in dialogo in Turchia, ma rimane, per quanto riguarda la sua possibilità reale, del tutto astratto, visto che in Europa non vi è consenso sull’accesso della Turchia e in Turchia, con la guida di Erdogan, non vi è interesse a rispettare le regole europee dello stato di diritto. Non vi sono solo in gioco, dicevo, queste trattative, ma il destino di milioni di profughi che potrebbero essere trattati come un arma per il raggiungimento degli interessi turchi. 



Preoccupante mi sembra anche la facilità con cui si sono superati, da parte turca, i limiti del linguaggio diplomatico, che è e rimane l’unico metodo ragionevole per superare i conflitti tra le nazioni. 

Preoccupante mi sembra anche la disponibilità ad offendere il ministro degli Esteri di uno stato che viene ricevuto in visita ufficiale, perché di questo si tratta se si accusa ingiustamente lo stato ospitato di essere un “porto sicuro per i terroristi”. 

Preoccupante è infine la debolezza dell’Europa nei confronti di un presidente come Erdogan, che con la scusa di difendersi da un putsch, travalica con spudoratezza diritti umani fondamentali, come quello di esprimersi liberamente, di aver un posto di lavoro a prescindere dalla propria visione del mondo o di ricevere un processo nell’ambito delle norme di uno stato di diritto. 

Se l’atteggiamento spirituale dell’essere disarmati di fronte al nemico rafforza la nostra interiorità, questa regola non può essere applicata, senza una mediazione politica adeguata, alla sfera del rapporto degli stati, che devono potere difendere l’incolumità e la dignità dei loro cittadini e di quella forma di convivenza che è lo stato stesso.  

La difesa non dovrà consistere in una reazione esagerata, ma non dovrà neppure rinunciare alla verità: un dialogo in cui si è accusati di essere un “porto libero per terroristi” non è un dialogo un po’ difficile, ma non riuscito. Non è per nulla un dialogo politico, ma un’offesa.

Compito della Chiesa invece sarà quello di temperare la “verità” con la “misericordia”, anche in dialogo con lo stato, senza far diventare la “misericordia” un concetto di teologia politica (far risultare dalla teologia immediatamente un atteggiamento politico). La misericordia rimane piuttosto un momento essenziale di una teologia della politica, che lascia alla politica stessa l’autonomia di una difesa della propria forma. Questa ha essenzialmente a che fare con la “verità” e la “giustizia”.