Negli Usa continua la polemica perché il direttore dell’Fbi, James Comey, ha annunciato la decisione di riaprire l’inchiesta sulle e-mail di Hillary Clinton a una settimana dal voto per la Casa Bianca. A luglio l’agenzia investigativa federale aveva chiuso l’inchiesta escludendo che ci fossero responsabilità penali. La scelta di Comey ha gettato benzina sul fuoco di una campagna elettorale accesa fin dalle prime fasi. “E’ il più grande scandalo politico dal Watergate, tutti sperano che giustizia sia fatta”, ha commentato Donald Trump. “Il popolo americano merita i fatti al completo, immediatamente. E’ imperativo che l’Fbi spieghi”, ha replicato la Clinton. Come se non bastasse, ieri il Washington Post ha diffuso dei sondaggi che attribuivano, per la prima volta, a Trump un punto di vantaggio sulla Clinton. Ne abbiamo parlato con Gianni Riotta, giornalista che conduce la trasmissione “Eco della Storia” su Rai Storia e professore alla Libera Università Guido Carli di Roma.
L’Fbi ha riaperto l’indagine sulle e-mail della Clinton a una settimana dal voto. Perché?
Ci sono varie versioni. Una è che il capo dell’Fbi, James Comey, è un repubblicano reclutato da Barack Obama che non sempre ha avuto buon naso per i collaboratori. L’obiettivo era proprio quello di dare la dimostrazione che la Casa Bianca è al di sopra delle parti. Qualche mese fa Comey aveva liquidato l’inchiesta su Hillary Clinton con grande enfasi, e ora a ridosso delle elezioni ci ha ripensato.
Come si giustifica questa scelta?
A dire il vero Comey ha avuto solo ora il mandato per riaprire l’inchiesta, ed era molto sotto pressione da parte del suo partito e dell’opinione pubblica di destra. Riaprire però l’inchiesta a una settimana dalle elezioni è certamente molto grave. Per l’ex leader dei Democratici al Senato, Harry Reid, Comey avrebbe violato la legge. Non so dire se sia effettivamente così, ma resta il fatto che la sua scelta è stata molto irrituale. Formalmente il capo dell’Fbi è un dipendente del ministero della Giustizia, ma in realtà Comey si considera indipendente.
Questa vicenda delle e-mail può essere considerata come la vera spia del clima di queste elezioni?
Sì. Le elezioni americane si stanno svolgendo in un clima avvelenato, perché gli Stati Uniti sono un Paese diviso in due dal punto di vista culturale. Gli Usa sono spaccati terribilmente a metà tra città e campagna, bianchi e neri, ricchi e poveri, abortisti e anti-abortisti, credenti e non credenti, progressisti e conservatori. La campagna elettorale, anche prescindendo dalle e-mail, rispecchia questo clima.
E’ il sistema elettorale o la società a fomentare questa divisione?
E’ la società a essere spaccata, il sistema elettorale in passato ha dimostrato di funzionare benissimo. A peggiorare la situazione è stato piuttosto un certo utilizzo di Internet.
Chi vincerà le elezioni riuscirà a riunificare questo Paese diviso?
No. Barack Obama è stato eletto sulla base di una piattaforma con cui prometteva di riunificare il Paese. Anzi aveva scritto due libri molto belli in cui invitava a smetterla di dipingersi la faccia con i colori di guerra, a riconoscersi americani prima che Democratici o Repubblicani. L’unico risultato è che siamo messi peggio di prima.
Nel frattempo assistiamo a un uso politico dei sondaggi. Fino a che punto i numeri forniti rispecchiano la pancia degli elettori?
Non credo che ci sia un uso politico dei sondaggi. Questi ultimi sono come sempre uno strumento di rilevazione statistica, che non è la verità assoluta, ed è ovvio che i politici li gestiscano poi a proprio vantaggio. I sondaggi non avevano previsto la nomination di Trump, ma da lì in poi hanno fatto abbastanza bene nel prevedere il resto delle primarie e la vittoria della Clinton su Sanders. Oggi la Clinton rimane in leggero vantaggio su Trump, ma ci sono alcuni Stati che sono in bilico come North Carolina, Florida, Ohio, Colorado e Virginia, ed è quindi ancora presto per dire che cosa succederà.
(Pietro Vernizzi)