NEW YORK — Si capisce che ad appena quindici giorni dall’elezione del nuovo presidente tutto il mondo guardi all’America attraverso gli occhiali della politica. Anche l’America lo fa. Ma sono occhiali o lenti deformanti?
La cantonata spaventosa che i mezzi di comunicazione hanno rimediato con la vittoria di Donald Trump ha riproposto un tema che già in passato avevo toccato: ognuno parla del suo mondo ed al suo mondo, chiuso in un recinto che altro non è che la miseranda area di consenso e connivenza con quelli che la pensano come te. Tutti gli occhi ora sono puntati su Trump e le scelte che sta operando nella costituzione di quella che sarà la sua squadra, il suo governo, il gruppo che dovrebbe condurre l’America alla nuova grandezza promessa in campagna elettorale. Non paghi della legnata sui denti già rimediata, totalmente disinteressati a ciò che accade al di fuori del loro ambito di consenso, incapaci di autocritica, i media continuano a dipingerci le possibili scelte di Trump come razziste, anti-umanitarie se non addirittura diaboliche. E magari sarà anche vero, perché il senatore Jeff Session Dell’Alabama, probabile futuro Attorney General, è sempre stato durissimo con gli immigrati illegali; Michael T. Flynn, apparentemente prima scelta di Trump come National Security Adviser, non ha mai certamente mostrato segni di amore per l’islam; Mike Pompeo, nuovo direttore della Cia, dai tempi della tragedia di Bengasi è stato un feroce oppositore di Hillary Clinton. Per non dire di Stephen Bannon, l’eminenza grigia, anzi, più nera che grigia, che ha condotto la campagna elettorale con l’abilità di un mastro burattinaio.
Quindi magari sarà tutto vero, ma bisognerebbe aspettarli alla prova dei fatti. E poi, che piaccia o meno, queste nomine sono conseguenze di quel voto di protesta che ha condotto l’uomo dai capelli color arancione alla Casa Bianca. Queste scelte gli americani le hanno volute. Si potrebbe aspettare un attimo anche prima di scendere in piazza a protestare contro un presidente che ancora non ha neanche preso servizio. Cose mai viste in questo paese, cose ideologiche che solo in anni recenti hanno cominciato a farsi sentire.
Per Trump le sfide dietro l’angolo sono tante ma — come da proverbio — dovrà stare anzitutto attento ai suoi amici, a chi lo ha votato. Le questioni più spinose se le ritroverà quando comincerà a metter mano alle policies interne, dal Social Security (quella specie di micro-pensione che ci danno qua), al Medicare (l’assistenza sanitaria per gli anziani, per ora totalmente fuori dal tritacarne delle assicurazioni private), alle sbandierate riduzioni fiscali (andranno soprattutto a vantaggio di chi è ricco e benestante?). Sarà lì che l’America diseredata e bisognosa di sognare lo aspetterà al varco. Per vedere se questo strano personaggio saprà mantenere le sue promesse.
Avevo cominciato a scrivere pensando di darvi un po’ una panoramica dell’aria che tira e mi accorgo di aver parlato soltanto di politica. Ma così è, siamo tutti alla finestra scrutando l’orizzonte e cercando di cogliere qualche cambiamento atmosferico. Sarebbe più piacevole parlare dei Chicago Cubs che hanno vinto le World Series dopo 108 anni di digiuno, o di Thanksgiving che ci aspetta settimana ventura e di tutto quello che ci sta veramente a cuore. Soprattutto di quello che ci sta veramente a cuore perché neanche il più grande presidente della storia dell’umanità potrebbe dare un senso alla nostra vita.