I toni, sdegnati e minacciosi, dei vertici dell’Unione Europea di fronte a due eventi da loro imprevisti, come il Brexit e l’elezione di Donald Trump, sono l’ennesima prova delle difficoltà in cui si trovano. Queste reazioni sono anche la dimostrazione dell’assoluta incapacità ad affrontare situazioni che non rientrino nel loro burocratico ideologismo, e rendono sempre più concreto il rischio di una dissoluzione dell’Unione.
Ha quindi ragione Gianni Credit a indicare nel suo articolo la Germania di Angela Merkel come il probabile vero interlocutore, o avversario, dell’America di Donald Trump. La Germania, assumendo questo ruolo, finirebbe per confermare la visione multipolare di Trump, accantonando definitivamente quella dei due blocchi contrapposti di Obama/Clinton.
Finora, pur giocando un ruolo in concreto marginale, l’Unione Europea si è presentata come uno degli attori sulla scena internazionale, restando al fianco degli Stati Uniti, o al loro traino come in Ucraina e in Medio Oriente. In uno scontro diretto con il “nuovo ordine” trumpiano, Angela Merkel sarebbe probabilmente la prima a volersi disfare dei membri dell’Ue che potrebbero frenare la sua politica. Per esempio, Paesi da sempre considerati zavorra, Grecia e Italia in primis, o alcuni dell’Europa Orientale, sempre più problematici agli occhi di Bruxelles e Berlino.
La Germania, seguita probabilmente dagli Stati del Nord Europa e forse dalla Francia, potrebbe così cercare un ruolo autonomo in questo nuovo scenario, peraltro tutto da verificare. Due sono i fronti che si aprirebbero nell’immediato: Nato e Ucraina. Trump ha affermato nettamente la necessità di una revisione del ruolo della Nato e di un riequilibrio nei costi di partecipazione nell’organizzazione. Una pesante critica, questa, ai Paesi europei che hanno finora “approfittato” della copertura Usa, ma per i quali il riequilibrio significherebbe un aumento delle spese militari difficilmente digeribile nell’attuale crisi economica. Inoltre, un ruolo preponderante della Germania anche militare, e non solo economico, sarebbe probabilmente altrettanto indigesto per molti Paesi.
Altrettanto critica è la ridiscussione chiesta da Trump del ruolo della Nato, un problema già sorto dopo il dissolvimento dell’Urss e del suo Patto di Varsavia. Allora si decise di mantenere in vita l’organizzazione e si instaurarono rapporti di collaborazione con la Russia, come nell’incontro del 2002 a Pratica di Mare. Significative le dichiarazioni di Colin Powell, allora Segretario di Stato americano: “il futuro della Russia è con l’Occidente e il futuro dell’Occidente è con la Russia“.
La crisi ucraina ha portato a un radicale cambiamento nei rapporti, anche se recentemente il Segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha attenuato i precedenti toni da guerra fredda.
A proposito dell’Ucraina, l’atteggiamento della Merkel è stato bivalente: duro per quanto riguarda le sanzioni contro la Russia, del tutto disponibile per i grandi contratti con Mosca, ad esempio sul raddoppio del gasdotto Nord Stream sotto il Baltico. Tuttavia, proprio sulla questione ucraina Trump ha espresso più chiaramente la sua intenzione di collaborare con Putin, sollevando scandalo con l’affermazione di essere disposto a riconoscere l’annessione della Crimea.
La maggiore preoccupazione di Trump, come d’altra parte di Obama, è la bellicosa ascesa della Cina e la situazione critica nel Pacifico e tra gli alleati americani dell’area. Diventa quindi prioritario chiudere al più presto la questione ucraina, un primo passo per una possibile “entente cordiale” con la Russia, allontanandola così dalla Cina. In sintesi: all’Europa ci pensino gli europei e l’America pensi a “ridiventare grande”.
In questa ipotesi, la situazione per la Germania, chiunque la guidasse, non sarebbe facile. Diversi Paesi dell’Europa Orientale temono fortemente un ritorno dell’imperialismo russo, sia pur non sovietico, ma accetterebbero con difficoltà di sostituire la protezione americana con quella tedesca. Si pensi ad esempio alla Polonia, la cui storia è segnata dalla lotta contro i due potenti vicini, Russia e Germania.
Dal canto suo, la Russia può giocare la carta delle consistenti minoranze russe, presenti nei Paesi baltici, in Moldavia, già divisa in due dalla sedicente Repubblica di Transnistria, e in Ucraina, con la sedizione dei russofoni nel Donbass. La guerra in Ucraina continua, sia pure meno violenta, rendendo problematico il ritorno di queste aree sotto il governo di Kiev, che, da parte sua, ha fatto ben poco per tener fede alle promesse del dopo Majdan. La corruzione permane a livelli elevatissimi, interconnessa con il potere degli oligarchi. L’ultimo evento dirompente sono state le dimissioni del governatore della regione di Odessa, Mikhail Saakashvili, l’ex presidente georgiano che nel 2008 condusse una sfortunata guerra contro la Russia per l’Ossezia del Sud. Saakashvili era stato nominato a tale carica dal presidente ucraino Petro Poroshenko nel maggio del 2015, il giorno dopo aver preso la cittadinanza ucraina. All’inizio di novembre si è dimesso accusando Poroshenko di non combattere la corruzione, anzi di essere colluso con i corruttori, e ha dichiarato di voler costituire un nuovo movimento politico.
Un panorama desolante per chi aveva creduto nella rivoluzione del Majdan e che sta avendo effetti negativi sul trattato di associazione all’Ue, come ha dimostrato l’esito del referendum tenuto in Olanda. La responsabilità del fallimento della nuova Ucraina non sarebbe solo dell’amministrazione Obama, ma anche dell’attuale gestione Ue, con una paradossale implicita vittoria di Putin. Se Trump si disimpegnasse da quest’area, per l’Unione Europea si aprirebbe una stagione ancor più difficile di quella già grave che sta vivendo attualmente.