La grande triangolazione mondiale è iniziata. Trump irrompe sulla scena internazionale ancora sub condicione sino a quando le forze potenti del sistema delle classi dominanti nordamericane non avranno deciso se lasciarlo salire al seggio più alto della cuspide del potere mondiale o rovinarlo con un battito poliarchico delle sopracciglia. Non è detto che giunga al potere, ma in primo luogo che vi rimanga a lungo. Le prove generali del Suo destino (scrivo Suo con la S maiuscola perché è un Presidente votato dal popolo sovrano con le regole che quel popolo, con la mediazione poliarchica, si è dato; decimi di voto popolare numerico in meno o in più, poco importa: ciò che importa è la tradizione burkianamente intesa) si sono già svolte in Sud America con l’impeachment della presidente brasiliana Rousseff, senza che un solo magistrato l’abbia mai indagata, interrogata, ecc. È bastato il voto del parlamento e la Sua sostituzione dopo un po’ di tumulti pilotati come quelli che Soros ha provocato negli Usa dopo la non elezione della Clinton, e la Roussef, combattente eroica durante la dittatura, per dieci anni presidente di Petrobras senza un avviso di garanzia, è rovinata dal podio… I magistrati formatisi in Usa con l’aiuto del presidente di un’autostrada ne hanno provocato la caduta per impeachment.



Nessuno ha proferito parola. Nel mondo ben inteso. Il Brasile non commercerà più con la Russia e l’Iran e Petrobras si avvia ad essere smantellata. Il nuovo governo brasiliano è formato da soli bianchi senza una donna ed è benedetto dalla forza storica che ha creato il Brasile e che ne ha conservato l’unità: il Rito Massonico Scozzese. In Brasile una città si chiama Benjamin Constant, mio maestro intellettuale di costituzionalismo e garante storico e mitico di un rito che ha fatto la storia.



Trump sta ancora appeso a un filo. Un po’ come Matteo Renzi, salvo le proporzioni geostrategiche naturalmente. Ma veniamo al Trump parlante. Le questioni essenziali dei suoi primi giorni sono le seguenti. Visita di Shinzo Abe a Washington appena introneggiato il nostro Trump. Che cosa si sono detti è chiaro. Il giorno dopo si apriva la riunione dell’Apec (Cooperazione economica asiatico-pacifica) a Lima a cui io ho sempre dedicato grande attenzione. Un tentativo che dura da anni di creare una grande area doganale che include tutte le nazioni pacifico-rivierasche dell’America del Sud, l’India e le nazioni del Sud-est asiatico, Tailandia e Indonesia in testa, Filippine a seguire nonostante Duterte, e soprattutto includenti Usa, Russia, Giappone e Cina. Il che vuol dire che Trump può da un lato giocare di sponda come rollback contro la Cina, mentre in realtà Xi Jinping gli telefona, e dall’altro sempre Trump negozia con la Russia e con l’India per non abbandonare alla Cina tutta l’Asia. Abe rassicura e vuol essere rassicurato. E Trump è stato ben consigliato: il Giappone rimane l’antemurale contro i cinesi unitamente ai vietnamiti.



Non dimentichiamo che la Trans-Pacific Partnership includeva il nemico storico della Cina: il Vietnam. E ricordiamo che escludeva la Cina. Una vera pazzia obamiana, ma è una delle tante del nostro terribile ultimo presidente clintoniano e democratico che non ha saputo sottrarsi alle spire dell’intervento militare umanitario. Anche qui un gioco di specchi: una teoria anti-kissingheriana e neo-con con Leo Strauss che sorride seduto su una Bibbia mentre le bombe cadono sul mondo dei peccatori… Gioco di specchi. Ma Obama non è democratico? Certo, ma la follia si è impadronita del mondo e Trump, se sfida pericolosamente le classi dominanti Usa a cui non appartiene, non può non tener conto del fallimento storico delle guerre nordamericane nei Balcani, in Medio Oriente, in Afghanistan e, dopo la colossale, stupida e bastarda guerra tra Iran e Iraq armata dagli Usa, non può e non vuole correre il rischio di portare il suo Paese nuovamente in un wilsoniano e clintoniano vicolo cieco. Trump introduce una pillola di realismo in un mondo di pazzi. È sboccato, ma si lavora hegelianamente con il pane che si trova per sfamare i pazzi shakespeariani.

Le conseguenze del realismo si faranno sentire subito in Europa. L’unico modo per ottemperare alle promesse elettorali è affidare l’Europa agli europei medesimi e… alla Russia. Ma gli europei sono pazzi e allora ecco il guardiano dei pazzi: Putin. La Russia stabilizza il Medio Oriente. E lo fa perché ormai la cultura araba è compromessa come elemento di stabilizzazione di quell’area (dall’11 settembre del 2001 in poi), con l’Arabia Saudita a cui si presenteranno i conti appena si sarà costruita una politica di spartizione dell’area post Sykes-Picot. Ora la spartizione avverrà tra Turchia, Russia, Usa, Francia e Uk in posizioni ormai declinanti, salvo la Francia che, a partire da Gibuti e da quel plesso strategico in tutta l’Africa sub-sahariana, è pronta a giocarsi le sue carte grazie all’area del franco africano e ai suoi 30.000 soldati schierati tra savane, porti (serviti dai Bolloré), giungle e deserti. I tedeschi si guardano ancora intorno e per ora fanno le prove generali del prossimo imperialismo africano, esportando armi in quelle terre che si stanno risvegliando tra fuoco, fiamme e genocidi. La storia non passa mai, si ritorna sempre agli stermini. Oggi c’è la tv e ci sono i social network per spaventare a morte i popoli: Siria docet. Ma torniamo a Trump.

In Asia la negoziazione sarà ben chiara: la Cina va contenuta, gli alleati sono il Giappone e il Vietnam; e la Thailandia se la transizione dopo la morte di Re Rama riesce. Tutti gli altri stati saranno a confini mobili sul piano militare e commerciale.

La Russia è potenza euroasiatica per eccellenza ed è indispensabile in questo disegno. Per esserlo tuttavia deve aver mano libera in Europa sul fronte baltico e su quello che era un tempo il fronte Sud della Nato. Di qui lo stupore per quello che sta accadendo in Europa. Essa si divide senza colpo ferire e si offre alla Russia o alla Germania à la carte. Basta scegliere o meglio scegliere si deve per non sfarinarsi e non essere più scelti da nessuno, ma solo occupati da abitanti di altri mondi.

Un Obama alticcio, evidentemente, predica contro l’austerità in economia, ma poi appoggia la candidatura della cancelliera Merkel che si avvia a essere una caricatura di Bismarck e una macchietta di Kohl non decidendo mai nulla e recidendo il ramo della pianta europea. Il forestale è seduto, ahimè, su una sedia a rotelle e questo rende tutto più difficile psicologicamente. Non lo si può criticare come lo si vorrebbe per rispetto umano e perché Lui (con la L maiuscola!) non discute dialogicamente, ma ordina con uno stile che fa paura. Sembra il generale Hindenburg, che di fatto distrusse il Centro cattolico in Germania ai tempi di Weimar prima dell’elezione popolare che aprì la via al Fuhrer.

Il fatto è che Schauble continua con una politica economica suicida. L’austerità che Wolfgang Munchau ha l’altro giorno dichiarato essere con l’euro la causa che porterà l’Italia fuori dall’euro, nasce in Germania. Obama non lo sa e non ci stupisce, ma noi lo sappiamo e ci fa paura. E se vincerà il No al referendum italico – ha detto Munchau sul Financial Times – questo processo avverrà più rapidamente. Tutti i giornali italiani o hanno mentito o i loro dipendenti addetti alla scrittura non conoscono l’inglese, lingua tra le più facili e tipica dei meccanismi neuronali a specchio. Munchau non ha affatto detto che il No porterà l’Italia alla rovina. Ha detto che a portare l’Italia e l’Europa alla rovina sarà l’euro. Per favore si discuta di questo e lasciamo perdere il referendum se tutto il gioco di specchi serve a far dimenticare questo…

Ma voi sentite, vedete o leggete che cosa è successo ieri al Parlamento europeo? I parlamentari si sono divisi su linee politiche. I popolari tedeschi con i nordici balbettanti hanno difeso le dichiarazioni oltraggiose di Schauble al Bundestag contro la solita Italia e i socialisti, guidati da quel buon diavolo del Pittella, hanno replicato finalmente con un briciolo di orgoglio nazionale risorgimentale tipico del vecchio movimento operaio patriottico e del cattolicesimo sociale e hanno auspicato una nuova politica economica.

Le elezioni sono infatti alle porte con Marine Le Pen o i neonazisti scandinavi che arrivano. Anche il ciclone Trump che richiede una politica fiscale finalmente espansiva e ripresa degli investimenti pubblici per fronteggiare la deflazione secolare. Perché? Senza soldi, niente armamenti necessari. La Russia può certo garantire le frontiere, ma solo quelle del Mediterraneo inglobando per se stessa una nuova area di nazioni finlandizzate e l’Ucraina. Questo è quanto.

Trump rilancia De Gaulle. Certo, le grandi tragedie di cui il grandissimo De Gaulle era frutto ora tracimano in avanspettacolo, ma anche l’avanspettacolo può tingersi di bruno se non si ascolta l’eco del vento che sibila dietro Trump. È più saggio del dettato clintoniano e può portare alla luce una nuova Europa non a dominazione tedesca (impeachment permettendo…).