Le elezioni in Marocco dello scorso ottobre suonano il campanello d’allarme: non consola il fatto che il partito d’opposizione socialista, laica e nazionale Pam abbia più che raddoppiato i propri voti. Gli islamisti del Pjd mantengono per il secondo mandato consecutivo il governo e rafforzano le proprie posizioni.



Perché questo è un campanello d’allarme? Perché la situazione nordafricana rischia di scivolare lentamente verso l’estremismo, con movimenti che sono più o meno ispirati dai Fratelli musulmani e che si stanno travestendo da “islam moderato”. L’abbiamo visto con la Tunisia, dove il leader di Ennahda, Rashid Ghannouchi, è venuto a Roma a presentare la nascita di una “democrazia islamica” parallela all’esperienza della democrazia cristiana italiana. Un’apparente modernizzazione che non tiene conto — o fa finta di non tener conto — di un dettaglio: l’islam, a differenza del cristianesimo, è una religione politicamente prescrittiva, con regole e leggi ben precise che non possono essere “aggiornate” o peggio ancora ignorate, pena l’eresia e l’apostasia.



Ma queste sfumature sono alla portata di chi conosce la cultura e la civiltà islamica: la classe intellettuale ha il compito di comprendere questi problemi e spiegarli alle classi lavoratrici, e di ispirare quelle dirigenti. Tuttavia, come nel caso dell’Algeria, gli intellettuali rappresentano una categoria falcidiata. La “primavera islamica” l’Algeria l’ha già vissuta, con la spietata guerra condotta dagli islamisti del Gia e del Mia che pure avevano conquistato democraticamente il potere. La reazione dei militari laici, che imposero un governo golpista di salute pubblica, provocò la guerra civile che si scatenò soprattutto contro gli intellettuali sterminando a migliaia e migliaia scrittori, giornalisti e colpendo le associazioni femminili. L’Algeria, dunque, il cui stato laico è ancora tale perché protetto dalle baionette, ha una struttura sociale fragile e potrebbe essere esposta di nuovo all’avanzata dei movimenti islamisti.



Un’eventualità sempre possibile quando le popolazioni vengono impoverite dalla crisi economica. È il caso — di nuovo — della Tunisia, colpita a morte nella sua prima industria nazionale, il turismo. Con grande intelligenza strategica i tagliagole hanno attaccato musei e resort, ben sapendo che impoverendo e togliendo speranza ai giovani tunisini si garantiscono un bacino di arruolamento e di simpatizzanti sempre più vasto.

In questo senso i finanziamenti occulti che arrivano dalle monarchie salafite vengono malignamente impiegati non per alleviare le condizioni del popolo, ma per peggiorarle. Si sostiene di nascosto l’integralismo e il terrorismo, si sovvenzionano alla luce del giorno moschee e madrasse. Le lobby saudite e qatariote guarda caso sono poi quelle che staccano lauti assegni a personaggi come Hillary Clinton, responsabile della devastazione della Libia e dell’assassinio di Gheddafi oltre che del sostegno alle cosiddette “primavere arabe” e dello scoppio della guerra civile in Siria (capitolo che merita un’attenzione particolare). Queste lobby in Europa sostengono poi i partiti favorevoli all’immigrazione dal Nordafrica di quegli stessi giovani che — tenuti in povertà e miseria — diventeranno i principali candidati a fornire leve per l’Isis e altre organizzazioni similari.

Un circolo vizioso che spiega anche il perché del ritardo con cui le promesse europee, francesi in particolare, verso i paesi della sponda sud del Mediterraneo vengono mantenute. Lo lamentava qualche sera fa Tarak Ben Ammar, il grande imprenditore tunisino, parlando alle telecamere di La7. Senza aiuti dall’Europa e con quelli provenienti dai paesi del Golfo indirizzati ad “aiutare per la discesa”, le popolazioni del Nordafrica, straboccanti di giovani e senza speranza per il futuro, sono fatalmente destinate a scivolare sempre più verso la fascinazione dell’estremismo.