SOUTH BEND (Indiana) — Qualche giorno prima delle elezioni americane, Jim Yardley, il direttore della sezione Europa del New York Times, ha provato a rispondere con un lungo articolo alla seguente domanda: “Cosa sta succedendo oggi negli Stati Uniti d’America?” (An American in a Strange Land, in New York Times Magazine, 4 novembre 2016). 



Secondo Yardley, tre parole sintetizzano l’odierno momento storico: “angoscia” e “rabbia” della gente, “frammentazione” nella società. L’articolo esemplifica ampiamente queste parole chiave grazie ad alcuni dati raccolti in un mese di viaggio attraverso il Paese. Ne riassumo alcuni. 1) Al confine tra il Messico e il Texas la massiccia militarizzazione alimenta il senso di paura e insicurezza. Tale militarizzazione rispecchia la “militarizzazione” del Paese: si calcola che in America vi siano tanti fucili quanti americani, 325 milioni, forse di più. 2) In Colorado i trattati commerciali internazionali ora in vigore (ad esempio, il Nafta: North America Free Trade Agreement) mettono in ginocchio alcune piccole aziende a conduzione familiare. 3) A Baton Rouge, recentemente insanguinata da delitti a movente razziale, la divisione tra bianchi e afroamericani ridisegna i confini delle città. Yardley descrive il disagio degli afroamericani che, confinati nei quartieri a sud, vengono abbandonati dalle politiche locali e nazionali in condizioni di povertà e ignoranza. 4) In una delle città simbolo della società del benessere, San Francisco, in tre giorni Yardley assiste a episodi di ordinaria follia: una sparatoria tra drogati, un rapporto di sesso orale in pubblico, senzatetto accampati nelle strade, due anziani divisi dalla polizia dopo esser venuti ai coltelli all’uscita di un supermercato adiacente al quartier generale di Twitter… 5) L’ultima tappa è Detroit. Città in larga parte abbandonata dopo la crisi economica del settore automobilistico, Detroit viene paragonata a Chernobyl, una “zona di Alienazione” (“zone of Alienation”). 



L’America — si chiede il lettore — è solo questa? Ovviamente no. Tuttavia il confronto elettorale fra Hillary Clinton e il neoeletto presidente Donald Trump, caratterizzato da una demonizzazione sistematica dell’avversario, minacce e insulti, ha rispecchiato proprio questa America. 

Lo scontro elettorale non ha creato le divisioni economiche, razziali e sociali del Paese, semmai ha messo l’opinione pubblica nella condizione di riconoscerle. Perché, si chiede Yardley, ci sono angoscia e rabbia nella gente? Perché c’è frammentazione nella società? Benché non fornisca risposte, l’articolo ha anzitutto il merito di porre sul tavolo queste domande. Ma non è il solo Yardley a porre tali interrogativi. Negli ultimi giorni ho avuto frequenti occasioni di dialogo sulle elezioni, in particolare ma non solo nel mondo universitario, in cui ho constatato un certo smarrimento e allarmismo, sì, ma anche e, soprattutto, il desiderio di capire i problemi del Paese. 



Qual è il problema più grande che vedo nell’odierna situazione politica americana? Il problema più grande è la depersonalizzazione del discorso politico o, detto altrimenti, una concezione politica e culturale impersonale. 

I moderni assetti democratici delle società occidentali mostrano una preoccupante distanza tra il sistema di rappresentanza politica e i cittadini. Non fa eccezione la democrazia americana. Il senatore Bernie Sanders nella sua campagna elettorale ha insistito sul fatto che c’è in America un potere oligarchico che dispone di mezzi smisurati con cui influenza il sistema politico (il top 0,1% della società americana possiede l’equivalente della ricchezza del 90% del Paese). Come Sanders, seppur con toni e argomenti diversi, il neo-eletto presidente Donald Trump si è proposto alla nazione come un candidato antisistema, difensore di una classe media dimenticata dall’establishment politico rappresentato da Hillary Clinton. Alcune proposte di Trump mettono in cima alla lista delle priorità politiche questioni che interessano la stragrande maggioranza degli americani: nuovi posti di lavoro, una assicurazione sanitaria meno costosa, tagli delle tasse, ecc. Queste proposte, tuttavia, non garantiscono che Trump concepisca davvero la sua politica a servizio degli interessi della maggioranza dei cittadini americani. La sua concezione politica, mi chiedo, rappresenta un’alternativa sostanziale, oltre che formale, alla tendenza oligarchica del potere così come si è venuta affermando in America? 

 

(1 – continua)