Era dai tempi di Nixon che un presidente degli Stati Uniti non si trovava in uno scontro così aperto e aspro con un ente fondamentale per la sicurezza del Paese come la Cia. Alle accuse che gli hacker di Putin abbiano interferito nelle elezioni avvantaggiando apertamente Trump, lui risponde ridicolizzando l’agenzia, dicendo che “sono le stesse persone che dicevano che Saddam Hussein aveva armi di distruzione di massa”. In questo quadro si inserisce il presidente uscente Barack Obama che ordina una inchiesta su queste accuse chiedendo che i risultati si sappiano prima del 20 gennaio, giorno dell’insediamento ufficiale di “The Donald”. “La speranza è di tirare fuori entro quella data una storia così carica di fatti negativi da indurre i repubblicani a prendere le distanze da Trump” ha detto a ilsussidiario.net Massimo Gaggi, corrispondente dagli Stati Uniti del Corriere della Sera, “qualcuno sogna anche l’impeachment, ma per riuscire in ciò si dovrebbe avere il sostegno dei due terzi del congresso, qualcosa di impraticabile a meno che non si assista a una rivolta di massa del Partito repubblicano contro il proprio presidente”.
La Cia attacca Trump, ma durante la campagna elettorale si diceva che l’Fbi era contro la Clinton. E’ possibile che le due maggiori agenzie di sicurezza americana siano su fronti opposti e così politicamente schierate?
Nel caso della Fbi si era trattato di alcuni investigatori dell’agenzia che evidentemente si erano mossi personalmente tirando da un lato più che da un altro. James Comey, il direttore, si era trovato in mezzo a uno scenario particolarmente aspro.
Quale?
La scorsa estate era stato accusato dai repubblicani di essere un traditore perché non indagava a sufficienza sul caso delle mail di Hillary Clinton, poi a novembre era diventato il loro eroe perché il caso era stato riaperto, cambiando ancora rotta a due giorni dal voto. In una campagna elettorale così violenta e divisiva è stato palese come anche questo tipo di istituzioni siano alla fine fatte di uomini con le proprie opinioni politiche.
E il caso Cia invece?
La stessa cosa probabilmente sta succedendo adesso con la Cia. In tempi normali nessuno si sarebbe permesso di criticare l’operato dell’agenzia, quando alla Casa Bianca c’era Bush ad esempio nessun democratico pensò mai di metterne in discussione l’operato. Se non naturalmente nel caso dell’Iraq, ma allora ci fu una accusa precisa di fabbricazione di prove false per sostenere la tesi delle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein. Eppure anche in quel caso i democratici, Hillary Clinton compresa, votarono a favore dell’intervento militare, dando così ragione alla Cia.
Adesso però tutto questo non vale più: cosa sta davvero succedendo?
Adesso c’è un clima diverso. John Bolton, che è notoriamente un personaggio un po’ estremista, dice addirittura che la Cia abbia fabbricato a tavolino le prove contro la Russia. Ma di fatto le sue parole preannunciano una normalizzazione della Cia nell’era di Mike Pompeo, il direttore della Cia nominato da Trump.
Basterà a normalizzare la situazione?
E’ difficile dirlo, anche perché nessuno sa veramente cosa succede nei corridoi della Cia. Trump ha ridicolizzato l’agenzia, siamo certamente all’inizio di una crisi istituzionale. Dipende da quanto Trump riesca a tenere compatto il suo partito, ma come dicevo noi non siamo in grado di sapere se basta nominare un capo fedele al presidente o se gli agenti si muovono per conto loro. Sicuramente chi lavora all’estero in situazioni di pericolo si sentirà adesso le spalle meno coperte di prima.
Cosa ne pensa di queste accuse a Putin?
La prova che usa la Cia è che gli hacker russi sono entrati negli archivi di tutti e due i partiti, ma non hanno reso noto nulla riguardo ai repubblicani, mentre su Hillary e sulla Fondazione del marito di notizie ne sono uscite quotidianamente a pacchi. Questo dimostrerebbe che la Russia ha voluto favorire Trump gettando discredito sulla sua rivale.
E della decisione di Obama di aprire una inchiesta cosa ne pensa? Che cosa vuole ottenere il presidente uscente?
L’unica cosa che si può pensare è che riescano a tirar fuori prove o insinuazioni così pesanti di una ipotetica collaborazione Putin-Trump da indurre i repubblicani a prendere le distanze da quest’ultimo. Qualcuno sogna anche l’impeachment, ma siamo nel campo delle ipotesi, ci vorrebbe il sostegno di due terzi del congresso, cosa abbastanza impraticabile: ci dovrebbe essere una rivolta massiccia dei repubblicani contro il loro stesso presidente.
Del caso Taiwan-Pechino invece che idea si è fatto?
E’ la prima dimostrazione del metodo Trump, la vita come un negoziato in ogni suo aspetto, da quello familiare alle aziende e alla politica. Ha detto che non riconosce necessariamente la politica della “One China” che gli Usa portano avanti dagli anni 70, a meno che Pechino non faccia concessioni sul piano commerciale, non sul piano dei principi ma sul piano del negoziato puramente commerciale. La reazione furibonda di Pechino c’è già stata, ma anche Taiwan adesso si deve sentire meno tranquilla.
Perché?
Vuol dire che la sua difesa per Trump non è un valore assoluto ma una merce di scambio, cosa che può valere per i Paesi baltici o anche la Nato.