Più che un bonus ai pensionati che ricevono meno di 850 euro al mese, sembra una partita di giro. Ai 617 milioni di euro previsti dal governo Tsipras andranno sottratti i 440 dovuti al fatto che dal primo gennaio 2017 le pensioni sociali subiranno un ulteriore taglio. Se a questi si aggiungono gli aumenti delle tasse indirette e gli arretrati, la somma è presto fatta. Qualcuno ovviamente si è chiesto perché il bonus ai pensionati e non un aiuto ai disoccupati. Perché i più arrabbiati sono proprio loro, i pensionati, i quali nelle elezioni del settembre 2015 hanno votato in massa Syriza.
Alexis Tsipras ha avuto un colpo d’ala, ha fatto, cioè, un tentativo per riguadagnare il consenso perduto. ”La nostra situazione sta migliorando – ha detto in tv al Paese -, il 2016 si chiuderà con un avanzo primario superiore alle attese”. E infatti l’avanzo primario si aggira sui 7,5 miliardi di euro, ovviamente senza conteggiare i circa 8 miliardi (dato ufficioso) che lo Stato deve ai fornitori. Dunque, i soldi in più, ha deciso, saranno destinati a garantire una “tredicesima” alle pensioni sotto gli 850 euro e a congelare l’aumento dell’Iva sulle isole dell’Egeo dove sbarcano i rifugiati.
Mezza Grecia, pensionati in primis, ha letto questo misure come una mossa per rivitalizzare il consenso della sinistra (molto lontana dal centrodestra di Nea Demokratia nei sondaggi, per quel che contano) nell’ipotesi nemmeno troppo peregrina che Tsipras, pur di non cedere ai creditori, chiami il Paese di nuovo alle urne. Elezioni anticipate? È possibile, stando al fatto che ai pensionati è stato permesso di manifestare di fronte alla sede della Presidenza del Consiglio – finora la strada che ospita il palazzo era chiusa al traffico ed era presidiata da un folto numero di poliziotti. Sembra un gesto di poco conto, ma nella narrativa “syrizea” questa libera circolazione sulla strada più controllata della capitale significa un cambio di passo.
Si attende una verifica nei prossimi giorni. Comunque è poco probabile, a meno che Tsipras non ottenga il nulla osta dalla Commissione europea. Ovviamente i creditori, non informati, non l’hanno presa bene. Il comunicato emesso al termine dell’incontro di mercoledì scorso parlava chiaro: “Le istituzioni hanno concluso che l’operato del governo di Atene non è in linea con gli accordi. Alcuni stati membri la pensano allo stesso modo e così, senza unanimità, le misure per ristrutturare l’esposizione sono al momento congelate”. Assieme a ogni probabilità alla concessione di nuovi aiuti e alla chiusura della seconda fase del programma di salvataggio. Se ne riparlerà, conclude la lettera, solo a gennaio. A gennaio? Forse la seconda valutazione si concluderà a marzo. Il che comporta un ulteriore ritardo sulla tabella di marcia.
Nel fine settimana Tsipras era a Berlino a cercare una “soluzione politica” all’attuale impasse, a sparare a zero sul Fmi e sul ministro delle Finanze tedesche, dimostrando di essere un efficace “barricadero” ma un pessimo “diplomatico”. A Frau Merkel ha chiesto il ritiro dal programma di salvataggio del Fmi, senza risultato. Il motivo del contendere è sempre il solito: Atene ha concordato con l’ex Troika di rispettare per un certo numero di anno (dieci?) il tetto di un surplus del 3,5% in cambio del taglio al suo debito. Ma gli accordi prevedono di rimettere mano all’esposizione ellenica dal 2018 in poi, e per ora il Paese deve accontentarsi di un allungamento sulla scadenza del prestito. A complicare le cose ci ha pensato un articolo dei vertici del Fmi: “L’obiettivo del 3,5% è insostenibile, ma ad accettarlo è stato Tsipras. E visto che si è impegnato, a questo punto deve approvare nuove misure d’austerità su settore pubblico e pensioni, aree dove finora si è fatto troppo poco”. Ma Frau Merkel ha spiegato a Tsipras che senza il Fmi l’Europa potrebbe sospendere gli aiuti.
Comunque, come da prassi, Frau Merkel ha ascoltato, forse consigliato, ma ha ribadito che le decisioni appartengono all’Eurogruppo. E non è la prima volta che Tsipras tenta la “via politica” per ridurre le frizioni tra Atene e Troika, e non è la prima volta che trova la porta sbarrata. Ripetitivo senza successo, Tsipras ha comunque fatto saltare i delicati equilibri Atene-Bruxelles. Ha voluto ripresentarsi come il difensore dei deboli e il garante degli interessi nazionali. Ma non ha fatto i calcoli giusti, dimenticandosi delle sue dichiarazioni quando il suo predecessore decise un bonus da 500 milioni. “Elemosina”, si sentì dire in Parlamento. E Syriza, allora all’opposizione, votò contro. Nel 2014, Syriza era il partito di opposizione, oggi è partito di governo sotto tutela.
Klaus Regling, presidente dell’Esm, spiegava ieri, in un’intervista a “El Mundo”: “Non siamo stati avvertiti. Speriamo che nel prossimo futuro ci sarà maggiore collaborazione. Comunque saranno gli stati membri a decidere sulle misure annunciate”. Mercoledì, giorno in cui si riunirà l’EuroWorkingGroup, si saprà se Tsipras non ha fatto il passo più lungo della gamba e se basteranno le “scuse” del ministro delle Finanze ellenico, dopo aver ammesso di non aver avvertito la Troika.