“Noi non vogliamo nemici, abbiamo bisogno di amici, ma non possiamo trascurare i nostri interessi”: così Vladimir Putin durante il discorso annuale tenuto ieri al Parlamento russo. Un discorso che sembra voler indicare una svolta nelle ormai tesissime relazione con l’Occidente, in particolare gli Usa, relazioni mai così basse dai tempi della Guerra fredda. Putin ha anche riconosciuto “la portata delle nostre responsabilità” a livello internazionale dicendosi “sinceramente disposto a prendere parte nella soluzione dei problemi regionali e globali, laddove il nostro coinvolgimento è appropriato, necessario e richiesto”. Un chiaro messaggio al neoeletto presidente degli Stati Uniti Donald Trump: “E’ importante normalizzare e sviluppare le nostre relazioni bilaterali, su basi paritarie e di comune interesse”. Per Giovanni Morandi, editorialista del Quotidiano Nazionale, “Usa e Unione europea hanno responsabilità non da poco per la situazione di conflittualità che si è venuta a creare con la Russia. C’è poi da considerare il quadro mediorientale dove anche lì gli Usa devono fare una inversione di rotta totale”.



Rispetto alla volontà manifestata da Putin nel suo discorso di voler riprendere un dialogo con l’Occidente, che possibilità concrete ritiene ci siano?

Le possibilità sono esclusivamente politiche, non ci sono impedimenti di altra natura se non legati alla volontà di chi guida Usa e Russia.

In questo senso Trump si è sempre detto disponibile a dialogare con Putin, sarà davvero così?



Come dicevo, dipende dalla volontà di Trump. Bisogna tener conto comunque che qualunque presidente americano ha dei margini ben controllati dal Congresso e da un’amministrazione che va al di là della singola presidenza. Dobbiamo sempre aspettarci una sorta di continuità tra un presidente e l’altro, non è immaginabile una svolta radicale che sconvolga una conduzione politica precedente. Trump inoltre dovrà prendere in considerazione l’Europa, che fino a oggi si è limitata a mugugnare senza fare nulla di concreto.

Quali passi dobbiamo aspettarci allora perché questo dialogo tra Russia e Occidente riprenda il suo corso?



Innanzitutto togliere le sanzioni contro Mosca, sanzioni il cui prezzo è pagato dalla sola Europa e minimamente dagli Usa, la cui efficacia si è inoltre dimostrata molto discutibile. Ma soprattutto il riferimento alla possibilità che la Russia possa cambiare il quadro geografico.

Cosa intende esattamente?

Quanto fatto con la Crimea è qualcosa che non andrebbe mai fatto, e a questo si riferiva lo stesso Putin nel suo discorso, ma dietro c’è un quadro molto ampio che se non giustifica, quantomeno spiega chi è Putin.

Ci dica.

La Crimea fu regalata da Kruscev all’Ucraina per motivi populisti, di fatto è abitata in stragrande maggioranza da russi. Quello di Putin è stato un segnale mandato all’Occidente con un chiaro riferimento a quanto fatto dalla Nato dopo la caduta del Muro di Berlino.

 

Intende l’accordo con Gorbaciov?

Esattamente. L’allora presidente George Bush Sr, in cambio dell’apertura del Muro, promise chiaramente che la Nato sarebbe rimasta quella che era prima, mantenendo il confine. Invece uno dopo l’altro quasi tutti gli ex Paesi del Patto di Varsavia, dalla Polonia alla Repubblica Ceca fino addirittura ai Paesi Baltici, sono entrati nell’alleanza atlantica. La stessa Ucraina ha chiesto di entrarvi. Si tratta di un nervo scoperto per Mosca che ha a che fare con la sua storia. I rapporti con quei Paesi sono sempre stati del tipo del fratello maggiore con i fratelli minori, si tratta di culture affini, etnie simili. Aver accettato questi Paesi nella Nato è stata senz’altro una decisione affrettata e ha creato una situazione di disparità.

 

Anche di umiliazione? La Russia è stata trattata come una nazione senza alcuna voce in capitolo, è d’accordo?

Non c’è dubbio, è un altro argomento da considerare ed è la ragione del successo interno di Putin, una popolarità che non si vedeva dai tempi di Gorbaciov. Putin ha restituito dignità alla Russia e il popolo russo, che è fortemente patriottico anche se in Occidente si trascura questo elemento, gli è grato. Anche se questa gratitudine presenta il rischio del ritorno al culto della personalità forte, cosa che i Paesi orientali hanno sempre avuto.

 

Cambiando scenario, in Siria cosa dobbiamo aspettarci? Putin ha sempre detto che visto che i Paesi occidentali non fanno nulla, è toccato a lui combattere terrorismo e fondamentalismo.

In Medio Oriente gli Usa devono fare una inversione di rotta a 360 gradi. Non sarà facile ma francamente non si vedono altre possibilità. Quando Putin sostiene di sapere come trattare il fondamentalismo dice il vero perché la guerra con i ceceni l’ha vinta. La cominciò Gorbaciov senza risultati, lui ha fatto tabula rasa ma è riuscito a imporre la pax russa su quel Paese. La stessa cosa sta accadendo in Siria. Assad sembrava agli ultimi giorni invece adesso sta vincendo la guerra. D’altro canto quando non ci sono altri protagonisti la pulizia si fa con quel che c’è, in questo caso i russi.

 

Usa e nazioni occidentali sono condannate a scomparire dal quadro mediorientale?

Gli Usa non possono scomparire, non è una opzione da prendere neanche in considerazione da parte della prima potenza mondiale. Hanno il dovere verso se stessi di avere un ruolo ma questo ruolo deve essere radicalmente ripensato.