Lo scorso dieci dicembre ha compiuto un anno la Presidenza argentina di Mauricio Macri: un periodo molto difficile che ne anticipa uno chiaramente decisivo per l’attuale Governo. In primo luogo c’è da considerare che le promesse della campagna elettorale sono state solo in parte realizzate, ma bisogna ammettere che lo Stato ereditato da 13 anni di saccheggio kirchnerista avrebbe gelato il sangue a chiunque. Un periodo durante il quale un falso populismo ha aumentato non solo la povertà ma anche portato la corruzione a livelli mai visti in Argentina. In poche parole, Macri si è trovato con le casse vuote e ha “scoperto” pure che gran parte delle opere che dovevano essere portate a termine dai Governi targati Kirchner & Co. in verità lo sono state solo per quanto riguarda l’incasso dei finanziamenti statali, ma in molti casi non sono mai state portate a termine.
E questo mostra il primo, grandissimo errore commesso da Macri: il non aver sufficientemente illustrato la catastrofica situazione a livello mediatico. Se non con un grande ritardo, cosa che ha fatto sì che il messaggio arrivasse alla gente dopo che le frange oltranziste del peronismo avevano già creato il “mostro neoliberalista” che, anche per l’improvvisa e prevedibile impennata dell’inflazione, ha trovato consenso nelle classi più colpite.
Altro errore è stato quello sul controllo dell’economia: dapprima una reazione tardiva verso le catene di supermercati che d’improvviso avevano aumentato i prezzi, quindi l’aumento spropositato delle tariffe energetiche, un rimedio peggiore del male che ha tentato di risolvere. Per 13 anni gli abitanti di Buenos Aires e dintorni ricevevano bollette di gas e luce con valori pari a quelli di una tazzina di caffè, e questo per le ingenti elargizioni alle compagnie prodotte dallo Stato, per mero calcolo politico (Buenos Aires e dintorni costituiscono il più rilevante serbatoio di voti). La cosa incredibile è che del 70% di questi finanziamenti beneficiava il 30% delle classi più abbienti e ciò costava allo Stato gran parte dei suoi proventi. È lapalissiano che una politica di aumenti graduali, unita a una massiccia campagna di educazione al risparmio e sconti sugli acquisti di elettrodomestici a basso consumo avrebbero avuto un impatto meno cruento specie su di una classe media, che ha massicciamente votato per un cambiamento, colpita profondamente. Come pure essere più decisi nei confronti dei colpevoli dell’impennata inflazionistica e dei licenziamenti massicci che l’improvvisa mancanza di finanziamenti statali, specie nel mondo delle costruzioni e in quello mediatico, ha provocato. Un apparato statale gigantesco e inutile, se non a fini meramente di propaganda politica, scomparso di colpo o messo in gravi difficoltà.
L’insieme di questi errori ha di fatto cancellato le positività che il Governo aveva raggiunto: l’eliminazione dell'”eterno” problema del pagamento dei “tango bond” (risolto in 15 giorni) ha di fatto ricollocato l’Argentina nel mondo finanziario e la riapertura delle relazioni con il mondo occidentale (e non solo) hanno attirato l’attenzione dei mercati sugli investimenti. L’agenzia Bloomberg, nella sua relazione sull’America Latina, aveva prospettato una crescita dell’Argentina tra il 3% e il 7% annui, dato che a tutt’oggi, vista l’attuale situazione, appare difficilmente raggiungibile.
Senza dubbio la promessa macrista di un ritorno a una Repubblica che manca nel Paese dal 1987 si è concretizzata nella ripresa di un dialogo governativo con la società nel suo insieme, cosa che mancava da troppo tempo. La lotta alla povertà ha portato a un incremento notevole delle sovvenzioni alle classi meno abbienti, anche se il problema aperto risiede nella mancanza di prospettive di inclusione nel mondo del lavoro, trasformando da anni gran parte degli oltre 8 milioni di persone che ricevono aiuti sociali in un soggetto passivo e in un grande serbatoio del lavoro in nero.
Altre due promesse della campagna (lotta al narcotraffico e alla corruzione) sono in piena fase di “lavori in corso”, ma mentre la prima sta godendo di successi superiori alle aspettative, frutto anche di una ripresa degli interscambi internazionali tagliati dal kirchnerismo, cosa che ha permesso, ad esempio, l’arresto di “Carlos” un capo narco padrone della 1-11-14, una villa miseria trasformata nel suo fortino e laboratorio di droghe, la seconda stenta a risolversi, soprattutto per la permanenza in ambiti giudiziali di magistrati e giudici chiaramente legati al kirchnerismo che proseguono nel posticipare o chiudere cause su evidenti casi non solo di corruzione, ma anche di violenze legate a essa. Ciò mette una palla al piede al progetto di una Giustizia indipendente, ma costituisce pure un messaggio pesante in una società che la vorrebbe operante totalmente e che invece vede e ascolta ogni giorno la comparsa di scandali che però raramente raggiungono una soluzione giuridica.
Altro problema rilevante riguarda il fatto che il Governo non dispone di una maggioranza sia nel Senato che alla Camera, cosa che lo costringe a machiavellismi finora portati avanti brillantemente, ma che le tensioni sociali hanno reso più difficili, giocando a favore di un peronismo che non perde il vizio di non saper fare un’opposizione costruttiva al bene del Paese ogni volta che non detiene il potere, cosa già successo sia negli anni Ottanta, con il governo del radicale Alfonsin, che nel triste 2001 di cui tutti ancora serbano il ricordo delle violenze che, successivamente, si scoprì erano organizzate e non spontanee come si credette. Cosa che invece fu la reazione della gente di fronte al disastro economico e al saccheggio bancario, con un Paese che pagava un altissimo prezzo alle politiche degli anni Novanta neoliberali del Governo peronista di Menem, che molto abilmente passò di mano il potere alla vigilia di un crollo ampiamente previsto.
La situazione attuale, seppur grave, non è quella di quegli anni e Macri ha ancora la possibilità di cambiare le cose, a patto di attuare veramente quel cammino repubblicano che costituisce l’unica soluzione per un’Argentina dalle immense ricchezze, in grado di alimentare, ad esempio 450 milioni di persone, ma con un indice di povertà del 34% della sua esigua (40 milioni) popolazione rispetto alla grandezza del suo territorio.