La Turchia si sta devertebrando, ossia si sta lentamente decomponendo nelle sue composite aggregazioni sociali, politiche e militari che hanno dato forma e sostanza al potere di Erdogan fondato sulle coorti dell’Akp, un partito di massa basato sull’anti-ataturkismo e sulla predicazione dell’unità tra principi islamici e principi della sovranità statuale. L’uccisione dell’ambasciatore moscovita, che ha assunto la forma di un vero e proprio scannatoio in presa diretta davanti alle tivù di tutto il mondo, è l’esatta manifestazione di tutto ciò. L’assassino era – perché è stato ucciso dai corpi speciali di pronto intervento – una guardia del corpo dello stesso Erdogan, di strettissima fiducia, che era stato selezionato in quegli anni in cui la Turchia e queste truppe di eccellenza garantivano che funzionasse la membrana osmotica tra la statualità turca e il composito mondo delle meteore del Daesh, ossia dell’estremismo islamico radicalizzato che voleva abbattere Assad e fare della Siria uno Stato islamico.
La Turchia stava nella coalizione formata da Usa, Arabia Saudita e Qatar che aveva, e ha, come fine la sconfitta degli alauiti, l’uccisione di Assad, come è stato ucciso Gheddafi, e la vittoria della bandiera delle leggi della sharia nelle terre di uno Stato che era una punta di diamante dell’antico baathismo. Senonché Erdogan ha sottovalutato una questione essenziale, ossia che tale processo non poteva non compiersi se non con l’aiuto determinante dei curdi peshmerga, ossia dei curdi combattenti, che se avessero contribuito ad abbattere Assad avrebbero rivendicato autonomia e potere in Turchia come in Siria, Iraq e Iran. Di qui la necessità per Erdogan, per tener fede al suo assurdo nazionalismo anti-curdo, di allearsi alla Russia, potenza che aveva e ha un solo fine, ossia difendere e ampliare le sue basi nel Mediterraneo, e quindi in Siria, e quindi ancora difendere Assad a ogni costo, perché nella difesa di Assad e della sua famiglia vedeva e vede una garanzia fondamentale per il suo condominio costruito nei secoli nei mari caldi del Mediterraneo.
Ma non si può seminare vento senza raccogliere tempesta. Il poliziotto apparteneva a quel segmento immenso delle forze di sicurezza turche che avevano creduto nella necessità di abbattere Assad per affermare i principi del nazionalismo turco e del feroce islamismo di combattimento che Erdogan aveva unito per la prima volta nella storia della Turchia all’islamismo medesimo. Si è assassinato l’ambasciatore russo, ma il vero obiettivo era Erdogan e la sua politica che oggi viene vissuta come un tradimento da parte della gioventù che l’aveva seguito nella sua ascesa al potere e che ora si sente tradita. Si è ucciso l’ambasciatore, ripeto, ma si è condannata la politica di Erdogan, incerta, esitante, indecisa e che espone la Turchia a ogni sorta di pericolo sul fronte internazionale, perché ne dilania lo stesso corpo sociale.
Ossia dilania la base di massa di Erdogan: fanaticamente islamista, sunnita da un lato, nazionalista e neostatualista dall’altro, sino al punto di combattere le stesse componenti islamistiche che sono state costituenti del suo potere e che ora non lo seguono nella sua battaglia ipernazionalista, come accade con i seguaci di Gulen, profeta di un islamismo assai più moderato e consapevole delle necessità di mediazione e di compromesso in uno scenario internazionale molto complesso.
Ed ecco allora giungere il giudizio di Dio come avveniva nell’antica Anatolia governata dall’humus culturale degli imam: ecco che si uccide il rappresentante di Satana, ossia del nemico che è diventato amico per il tradimento di colui che ha ingannato il popolo dell’unico vero Dio. Si uccide come un cane l’ambasciatore russo e si può morire certi di finire nel paradiso coranico.
È la stessa cosa che avrà pensato e voluto colui che con un camion, rubato o sequestrato che dir si voglia, ha distrutto le vite di decine di pacifici tedeschi intenti a celebrare il rito tutto pagano e pacifico del Natale non più santo ma consumistico. Una tecnica terribile di una forza di distruzione islamica ormai vinta in Siria e in Libia che pensa di trovare nuovi seguaci nonostante la sua sconfitta nella pagana Europa.
Non sono lupi solitari, ma soldati combattenti di un esercito che si ritira in Libia, in Iraq, in Siria sotto i colpi della vera coalizione vincente e determinata quanto mai, ossia la coalizione russo-iraniano-turca, ben più solida di quella statunitense-saudita-qatarina accompagnata dalla Francia, dall’Uk e dalla Germania che appoggia senza clamore con la sua portaerei le forze francesi e che per questo anch’essa deve essere colpita in Europa da un esercito ormai disperso. Ma rimane il fatto che il fondamentalismo islamico di ogni forma e colore, nonostante il terrore, ha perso, è stato sconfitto e i milioni di musulmani che vivono, lavorano, soffrono, sfruttati come non mai in Europa, nonostante tutte le ingiustizie del capitalismo europeo e nonostante il cristianesimo e il neopaganesimo che insieme convivono in Europa, non seguono i terroristi, non li amano e non li scelgono. Quel popolo sceglie la pace, la concordia, la pietà. Nonostante la violenza, il fanatismo ha già perso e solo la nostra stupidità da bottegai dell’accoglienza negata potrà se mai farlo vincere.