A Berlino si è consumato l’ennesimo orrore, l’ennesima solenne idiozia; decisa probabilmente da un terrorista “fai da te” secondo le indicazioni delle centrali del terrore. Uno di quei “cani sciolti” che decidono sul momento: un tir fermo sul piazzale ed un’idea criminale nella mente. Un camionista polacco — ma allo stato della vicenda si sa ancora veramente poco — cercando di bloccare i piani del folle di turno, ha forse impedito che l’elenco delle vittime non ripetesse il triste record di Nizza. 



Dinanzi a tanto orrore non ha molto senso discettare sul diritto a non mutare le nostre abitudini ed a non cedere al terrore. Non è un problema: la nostra società vive di consumi e di tempo libero. La risposta della lieta euforia insediata di nuovo sul suo trono non tarderà ad arrivare: la nostra macchina dei consumi è molto più potente dei Kalashnikov come dei tir. Così come non ha molto senso discettare sullo scontro tra civiltà, per il semplice motivo che, ammesso che queste civiltà in conflitto si possano ricondurre a degli insiemi unitari, siamo tutti dentro lo stesso universo globale. La legge del mercato e della crescita permanente non concedono margini alle differenze culturali. Proprio per questo l’invito alla jihad — per fortuna — non potrà che restare inascoltato per i milioni di immigrati di fede musulmana che da decenni vivono in Occidente e non hanno nessun desiderio di scambiare la loro vita attuale nei paradisi del welfare con le guerre permanenti tra fazioni religiose imperanti nei paesi d’origine.



La pietà cristiana ci invita allora a guardare da un’altra parte, verso le vittime e i loro cari, coloro ai quali ciascun nome manca. L’Italia ha segnato il suo punto di dolore con una ragazza di trentun anni, Fabrizia Di Lorenzo che lavorava a Berlino da tre anni, dopo una laurea e un master. Il suo nome si aggiunge a Valeria Soresin, di una manciata d’anni più giovane, tristemente trucidata al Bataclan in una sera di novembre dello scorso anno. Ma vorrei aggiungere anche un nome non italiano, quello di una ragazza ancora più giovane, la più giovane di tutte: Zhang Yao, travolta da un treno mentre cercava di recuperare la sua borsa, scippata da tre coetanei, poco distante da un ufficio della questura dove si era dovuta recare per rinnovare il proprio permesso di soggiorno. 



Sono tre storie semplici, di altrettante giovani ragazze che stavano cercando di costruirsi un futuro attraverso la strada più difficile: quella che passa per il partire da casa, il cercare spazi e dignità in una città straniera dell’Occidente, dove studiare, apprendere e lavorare.

Tre storie analoghe anche perché tutte e tre travolte dall’idiozia di un mondo che non le merita: tre balordi (forse quattro) nello squallido scippo romano, un tunisino poco più che ventenne nella strage di Berlino ed una banda di esaltati assassini nella triste notte parigina. Tre casi nei quali la sociologia non serve: basta il male, quello radicale e disumano al tempo stesso. Quello che arma la mano e imbottisce la mente di ragazzi poco più che ventenni: “a vent’anni si è stupidi davvero, quante balle si hanno in testa a quell’età” sentenziava trent’anni fa Francesco Guccini. 

Gli idioti hanno ucciso chi progettava e costruiva. Le idiozie dell’esaltazione jihadista da un lato (non così lontane da quelle dei terroristi nostrani) e quelle della balordaggine dei borderline delle periferie romane, di quelli che ancora credono che una vita si costruisca con scippi e colpi di mano, hanno stroncato la vita di quelle ragazze in fiore che allietavano la vita di chi ha voluto loro bene. 

Allora, sembra esser molto più umano e culturalmente dignitoso stare accanto ai loro padri. Starci in silenzio, umilmente, perché non ci sono parole. Essere accanto ai loro genitori, condividere in silenzio. Starci come quei lumi, accesi nella notte da cuori pietosi e desiderosi di condivisione e di solidarietà, contro la stupidità infinita di ogni balordaggine, di ogni ideologia, di ogni deriva religiosa, quando nei fumi dell’incoscienza diventano tutte e tre la stessa cosa, la negazione della letizia e della speranza. 

E non è un gesto di resa: ma è la pietas, il cuore della nostra civiltà, quella che ci ha reso costruttori di università e di cattedrali, copisti dei classici greci e latini, edificatori dello Stato di diritto. La nostra civiltà che ha attirato Zhang, Valeria e Fabrizia, là dove hanno avuto l’impressione che brillasse la fiamma della civiltà, venendo ad apprendere il meglio, a Natale. Più che gli standard di vita sono i livelli di questa speranza che bisogna continuare ad assicurare ed a proteggere.