LIPSIA — Una Germania sotto shock. La cancelliera Angela Merkel ha visitato vestita a lutto il luogo dell’attentato terroristico di Berlino, simile a quello di Nizza, pur con dimensioni minori ma pur sempre drammatiche (12 morti e 50 feriti). L’inquietudine è notevole, sia perché un tale attentato ai mercatini del Natale, che si trovano in tutte le città e i paesi tedeschi durante l’Avvento, era stato previsto già nel novembre del 2016 (Chris Hughes sul Mirror), come mi ha fatto notare uno dei simpatizzanti della AfD nella mia regione, sia perché il terrorista, Anis Amri, tunisino, che avrebbe dovuto essere rispedito in patria già quest’anno, è stato ucciso a Milano. Il suo rimpatrio, dopo che la sua richiesta di asilo non è stata accettata, per motivi formali non è stato possibile.
Quanti casi simili ci sono ancora in Germania e in Europa, si chiedono molte persone in preda alla paura? L’attentato confermerebbe l’idea che l’islam è per ciò stesso pericoloso, come si potrebbe vedere dai tanti profughi cristiani perseguitati anche in Germania (questa paura corrisponde purtroppo ad un dato reale) e dall’aumento dei crimini sessuali contro le donne.
Dopo l’attentato di Berlino ho interpellato Aisha (siriana, musulmana, 18 anni) per avere un suo giudizio. Una mia studentessa tedesca, Marlene Hoffmann, aveva già raccontato la storia di Maya (allora avevamo ritenuto per motivi di sicurezza di chiamarla così e non con il suo vero nome), fuggita dalla Siria, che ora frequenta la nostra scuola in Sassonia-Anhalt. Traduco il testo di Aisha apportando meno correzioni possibili (Aisha frequenta la scuola tedesca da meno di un anno).
“E’ strana la domanda di tutti gli europei: che cosa pensi dell’attentato di Berlino? Come se fossi una partner dei terroristi o come se ne portassi qualche colpa. Tutti sembrano aspettare che la mia risposta corrisponda ad un’altra logica. E’ vero il contrario: noi siamo contro tutte le azioni terroristiche, perché colpiscono persone innocenti, e non vi è nulla nell’islam che legittimi questo. Anzi il profeta Maometto (la pace sia con lui) disse: non si deve tagliare un albero, non si deve uccidere una donna, non si deve uccidere un bambino, non un uomo anziano, non si deve uccidere un sacerdote isolato. Non si deve tradire nessuno! La morte non può essere giustificata come atto di legge. Dobbiamo essere fedeli al patto con Dio. Non dobbiamo distruggere palazzi e tanto meno una chiesa o un tempio. L’atteggiamento ultimo è sempre il perdono e non si deve costringere nessuno a diventare dell’islam. Sostenere qualcosa d’altro sarebbe semplicemente la negazione dell’islam stesso”.
Qualche settimana fa avevo chiesto ad Aisha di tenere una delle meditazioni (pochi minuti) che ogni lunedì vengono trasmesse dagli altoparlanti della scuola. Ha spiegato che cosa significa l’islam per lei. Dalla sua meditazione trapela una fede profonda nel Dio che ci accompagna e ci aiuta in tutte le possibili vicende della vita, e la coscienza di una donna che impara dall’islam il senso ultimo della propria libertà e dignità. O almeno, questa è l’impressione che ne ho tratto io, insieme a molti altri.
“L’islam mi ha donato il Corano e il profeta Maometto (la pace sia con lui), mi ha accompagnato sulla via per trovare il mio Dio, che si trova sempre accanto a me. Un Dio con cui posso parlare da persona a persona e in cui posso avere fiducia, perché Lui può risolvere tutti i miei problemi! Un Dio che mi ha insegnato ad essere una giovane donna che ha successo nella scuola ed è sicura di sé ed orgogliosa della propria moralità.
L’islam mi ha permesso di trovare me stessa, mi ha permesso di essere rispettata e protetta. Per esempio mi ha dato il diritto di agire come una persona che è uguale a tutte le altre persone. Mi ha dato il diritto di studiare, di lavorare, di dire liberamente la mia opinione, di aver il mio spazio in questo mondo. Mi ha permesso di agire con efficacia, di poter riflettere su tutte le altre creature; di essere attenta a chi ha bisogno di aiuto. Cerco di riconoscere nel mondo la luce dell’islam, che dimostra lo scopo pacifico di questa religione.
Ovviamente sono come tutti gli altri uomini e posso fare degli errori. Ma è un mistero che ci unisce a Dio, che Egli con il tempo ci perdoni se ci pentiamo e ci doni molto di più di ciò che desideriamo.
Il fatto che io mi copra la testa con il hijab (foulard, nda) non è solo questione di un velo che nasconde i miei capelli, ma è fonte di maggiore umiltà, dignità e onore. Il foulard mi ha dato, ovviamente nei limiti della logica, la possibilità di fare ciò che voglio e di non sentirmi in gabbia nel mio tempo. Il foulard mi dà infine il diritto, cosa che per me come ragazza è una cosa molto importante, di decidere di sposare l’uomo che desidero. Mi permette di donarmi per tutta la mia vita a quell’uomo che mi merita. Mi permette di decidere quanti anni abbia l’uomo che voglio sposare.
Come ultima cosa voglio dire che ogni religione è unica, ma insieme sono un capolavoro che conduce a quella meta ultima che è la pace”.