“L’unica vera novità è quella portata dall’incarnazione del Figlio di Dio, dalla sua passione, morte e risurrezione”. Ruota tutto intorno a questa pietra viva, a questa certezza, il dialogo con padre Francesco Patton, trentino di nascita, eletto alla Custodia di Terra Santa nel maggio scorso. “La nostra fede — spiega padre Patton al sussidiario — non si basa su un mito ma su qualcosa che è avvenuto nella storia. Dio ci offre accoglienza, perdono, salvezza e vita nuova attraverso il suo figlio Gesù”. Questo è il cuore della fede, la misericordia alle quale papa Francesco richiama continuamente la Chiesa.
Padre Patton, lei non è solo il custode dei luoghi santi, ma il superiore dei frati minori che vivono in tutto il Medio oriente. Qual è il suo personale bilancio di questi sette mesi alla Custodia?
Più che il superiore sono chiamato ad essere il loro custode, parola molto bella perché biblica — richiama il custodire il gregge, la casa, la famiglia —, e usata da san Francesco per esprimere il servizio che dobbiamo svolgere tra fratelli per aiutarci reciprocamente a vivere la nostra vocazione, ciascuno secondo le proprie responsabilità. Il mio personale bilancio è di essere a metà del mio “noviziato” in Terra Santa e quindi ho ancora moltissimo da imparare, ma posso dire di essere contento della disponibilità incontrata nei miei fratelli, nella gente e anche in campo ecumenico.
Che senso ha oggi, con i cristiani che sono ovunque nel mondo, custodire i luoghi santi?
Che senso ha custodire la memoria delle nostre origini? Ha il senso di essere consapevoli delle nostre radici per poter vivere oggi con umiltà e consapevolezza la nostra fede. Il nostro, purtroppo, è il tempo della “memoria corta”, dove conta solo ciò che è nuovo. Ma qui, in realtà, noi custodiamo i luoghi in cui è possibile ricordare che l’unica vera novità è quella portata dall’incarnazione del Figlio di Dio, dalla sua passione, morte e risurrezione. Ci sono forse novità più grandi o più importanti del fatto che Dio abbia colmato la distanza che separava noi da Lui proprio qui, a Nazareth e Betlemme? O c’è una novità più grande di quella che sprigiona dal Sepolcro vuoto che testimonia che la morte è veramente sconfitta per sempre e lo testimonia a tutti coloro che sanno vedere i segni di Dio e credere a ciò che Dio ci dice attraverso quei segni? Custodire questi luoghi significa offrire a quanti vengono qui la possibilità di “toccare” quello che il beato papa Paolo VI chiamava giustamente il Quinto Vangelo. Custodire i luoghi santi e renderli accessibili ai pellegrini vuol dire affermare fisicamente che la nostra fede non si basa su un mito ma su qualcosa che è avvenuto nella storia. Per usare il linguaggio del Nuovo Testamento, qualcosa che è avvenuto “nella pienezza dei tempi”.
Si è chiuso il Giubileo della misericordia. Papa Francesco parla di misericordia ogni momento. Perché? Cosa aggiunge la misericordia a quello che già sappiamo della verità, con la nostra fede?
La misericordia è Dio stesso. Non dimentichiamo quello che dice l’angelo a san Giuseppe quando gli chiarisce il senso della gravidanza della Vergine Maria e gli spiega il significato che avrà l’esistenza di quel bambino: sarà l’Emmanuele, cioè il Dio con noi, e si chiamerà “Gesù, Egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Mt 1,21). La misericordia è uno dei modi in cui Dio si manifesta a noi e ci dona la salvezza. E nei vangeli c’è una invocazione che ricorre spesso e che noi usiamo ancora nella liturgia “Kyrie, eleison”, questa brevissima invocazione significa proprio “Signore, abbi misericordia”. La misericordia ci ricorda contemporaneamente che noi siamo fragili e peccatori e che al tempo stesso Dio ci offre accoglienza, perdono, salvezza e vita nuova attraverso il suo figlio Gesù. Chi sale sul Calvario e si ferma in preghiera davanti al Crocifisso è chiamato a fare questa esperienza e a rendersi conto del “caro prezzo” della misericordia; questo non dovrebbe renderci superficiali nella vita cristiana, ma piuttosto riconoscenti e responsabili. I santi che hanno fatto questa esperienza della misericordia si sono sempre sentiti provocati a dare la propria vita. Sottolineare oggi la misericordia vuol dire prima di tutto renderci conto che noi per primi, lungo tutto l’arco della nostra vita, abbiamo bisogno di misericordia. Ma poi vuol dire anche prendere sul serio quel che ci dice Gesù nel discorso della montagna: “Siate misericordiosi come il Padre” (Lc 6,36).
Il mondo oggi è pieno di violenza come forse non è mai avvenuto dal secondo conflitto mondiale. Una violenza capillare, diffusa. A che punto è la situazione in Siria, vista dal suo particolare punto di osservazione?
Papa Francesco parla spesso di “terza guerra mondiale a pezzi”. È vero, la violenza è tanta. I nostri frati che continuano a vivere accanto alla gente in Siria sperano che questa situazione di guerra e violenza finisca quanto prima. Noi pure lo speriamo e preghiamo ogni giorno per questo, e a questo scopo abbiamo anche rilanciato l’iniziativa “Bambini in preghiera per la pace”, invitando ogni prima domenica del mese tutte le parrocchie e scuole affidate alle nostre cure a organizzare un incontro di preghiera per la pace. Quello che in questo momento i nostri frati in Siria sottolineano è che è necessario lavorare per la riconciliazione tra le parti, che è molto più di una tregua.
Ci spieghi, padre.
Loro ripetono spesso che è molto più semplice ricostruire le fabbriche, le case e le chiese che ricostruire la convivenza e la fiducia tra le persone. Però è questo ciò di cui c’è oggi più bisogno: che ci siano persone sui vari fronti disposte a rischiare la vita per proporre un cammino di riconciliazione. Poi è ovvio che c’è bisogno anche di aiuti materiali e che quando la guerra finirà ci sarà bisogno di un aiuto da parte della comunità internazionale per ricostruire anche materialmente il Paese. E c’è bisogno di aiutare i cristiani oggi a rimanere in Siria e domani a ritornarvi, perché la Siria è la seconda culla del cristianesimo e perché in quel Paese, come in tutto il Medio Oriente, i cristiani sono sempre stati una presenza pacifica, che mediava tra le parti, che dava un contributo significativo alla cultura del Medio oriente e anche al suo sviluppo economico.
Anche l’Europa chiude il 2016 tra incertezze, violenza e paure. Come si vede il vecchio continente da Gerusalemme?
Quel che dicevo in rapporto alle radici della fede mi pare che sia particolarmente evidente per l’Europa. Incertezze, violenza e paure sono in parte legate alla crisi di identità che sta vivendo l’Europa da molti anni. Per usare un gioco di parole mi pare che in questi ultimi anni l’Unione Europea sia stata molto disunita e rischi di disunirsi sempre di più. Quello che io temo, per l’Europa, è che affronti anche l’attuale emergenza con la stessa disunione con cui ha affrontato il problema della crisi economica, quello dei migranti e tutte le questioni di politica estera in questi ultimi anni. Credo che per vincere la paura non basti il concetto di “sicurezza” così come è inteso oggi, ma occorra ricostruire la fiducia tra le persone e credo che sia molto difficile ricostruire la fiducia tra le persone solo su basi filantropiche. A Betlemme, la notte di Natale, gli angeli hanno cantato: “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini che Egli ama”. È impossibile che ci sia pace in terra finché gli uomini non si sanno amati da Dio ed è impossibile che ci sia pace sulla terra finché qualcuno pensa di potersi sostituire a Dio. Quando il santo papa Giovanni Paolo II parlava della necessità di rievangelizzare l’Europa non pensava a una nuova espansione della Chiesa, pensava al bene dell’Europa.
Per secoli è stato possibile garantire in molti luoghi del Medio oriente un minimo di coesistenza tra le diverse identità etniche e religiose. Oggi come stanno evolvendo i rapporti tra le grandi fedi religiose?
La convivenza tra persone di fedi differenti è ancora possibile e qui si sperimenta. Dirò di più, è possibile anche la collaborazione e l’amicizia. Le suore di Madre Teresa mi hanno raccontato un episodio che è commovente: un loro collaboratore musulmano — in uno dei Paesi del Medio Oriente provati dalla guerra — ha rischiato la propria stessa vita e fatto un viaggio di centinaia di chilometri per far arrivare alla loro comunità il Santissimo Sacramento. Tra i nostri collaboratori ci sono, oltre a cristiani di tutte le confessioni qui presenti, anche ebrei e musulmani coi quali c’è un rapporto anche di fiducia, di stima e di amicizia. E proprio san Francesco, col suo andare incontro al Sultano Malek El Kamel, ci insegna che dobbiamo avere il coraggio di avere fiducia nell’altro se vogliamo stabilire un contatto, un dialogo, un incontro. Nelle nostre scuole ad esempio i bambini cristiani e musulmani studiano assieme, e questo è un modo per costruire un futuro di pace, perché cominciamo a ridurre la paura dell’altro riducendo il pregiudizio e riduciamo il pregiudizio quando cominciamo fin da piccoli a intessere relazioni. Poi credo che una buona scuola aiuti anche ridurre i rischi di fondamentalismo, che si alimenta spesso in una conoscenza superficiale della propria stessa religione. Credo quindi che uno dei grandi strumenti per far evolvere positivamente i rapporti tra persone di religioni diverse sia la scuola. E poi sono molto importanti gli esempi che danno i vari capi religiosi e il lavoro che svolgono anche le commissioni apposite.
Basta la tolleranza, o si può lavorare per un dialogo basato sull’ascolto e la stima reciproca? Chi sono i nemici del vero dialogo tra gli uomini del mondo di oggi?
Credo di aver già risposto. Comunque ribadisco che i nemici del vero dialogo sono soprattutto quelli che alimentano il pregiudizio verso l’altro anziché la vera conoscenza dell’altro. In parte credo che sia un ostacolo al dialogo anche il non avere una identità chiara. Se io non so cosa vuol dire essere cristiano come posso dialogare con uno di un’altra religione?
C’è un processo politico efficace che in questo momento si può avviare nella Terra dove è nato Gesù?
La mia presenza qui è troppo recente per dare valutazioni sui processi politici. Quello che so è che i processi politici di reale cambiamento richiedono tempi lunghi, perché c’è bisogno di una lavoro profondo nel campo culturale, per poter avere un cambiamento stabile in campo politico. E certamente c’è bisogno di tanto dialogo e di uomini coraggiosi e “ispirati” che pensino al futuro dei loro figli e nipoti anziché alle prossime elezioni.
La sua intenzione di preghiera in questo Santo Natale.
Che si realizzi ovunque, in tutto il mondo, nelle famiglie, nell’esistenza di ogni persona, il canto degli angeli a Betlemme: “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini che Egli ama”.
(Federico Ferraù)