Nel condannare gli attentati di Berlino e Ankara si è parlato di nuovo di terroristi e terrorismo, definizioni che, per quanto oggettivamente corrette, rischiano di nascondere la vera sostanza del problema, cioè lo scopo cui sono dirette le azioni terroristiche. Qualunque sia la loro matrice, gli atti di terrorismo non sono fine a se stessi, ma diretti a un preciso obiettivo: infondere terrore nel nemico. Sono atti di guerra che hanno come bersaglio non i membri degli eserciti avversari, ma i civili, al fine di fiaccare la resistenza psicologica e morale di chi si considera nemico. In questo quadro rientrano, per esempio, i bombardamenti a tappeto delle città italiane e tedesche durante la seconda guerra mondiale, diretti essenzialmente contro obiettivi civili per fiaccare la resistenza delle popolazioni. Allo stesso modo vanno giudicate le  bombe nucleari sganciate su Hiroshima e Nagasaki, dove la strage di civili non è stato un “danno collaterale”, ma l’obiettivo voluto per costringere il Giappone alla resa. Un’America terrorista che si contrappone a quella che ha mandato tanti suoi figli a morire in Europa e in Asia per difendere la libertà propria e altrui.



Nella stessa prospettiva, sarebbe oggettivamente più vicino alla realtà parlare di islam terrorista, piuttosto che di terrorismo islamico, contrapponendolo a quell’islam decisamente maggioritario che rifiuta il terrorismo come mezzo per imporre la propria religione e la propria concezione di Stato. Tuttavia, il problema del fondamentalismo islamico non si esaurisce nel fenomeno del terrorismo. Nel Medio Oriente e nel Nord Africa, quelle che consideriamo organizzazioni terroristiche, come Isis, Boko Haram o gli shabaab somali, hanno dato luogo a vere e proprie strutture statali e le stesse articolazioni di al Qaeda si comportano come eserciti, sia pure irregolari.



L’islam terrorista, nelle sue varie forme, si presenta quindi come una espressione estrema di un islam in armi che trova fondamento e sostegno in precise correnti del variegato mondo musulmano. Il principale responsabile di questa deriva fondamentalista, almeno per quanto riguarda i sunniti, si può individuare nel salafismo e nella sua derivazione saudita, il wahabismo. Contro queste correnti si è tenuto nello scorso agosto a Grozny, in Cecenia, un convegno cui hanno partecipato quasi duecento personalità del mondo sunnita provenienti da diversi Paesi musulmani. Il convegno si è concluso con la pratica esclusione dal sunnismo del salafismo/wahabismo e quindi con un’esplicita condanna dell’Arabia Saudita e del Qatar, dove sono dominanti queste correnti. Una decisione che comunque non sembra avere avuto molti effetti pratici, a partire dall’Onu, dove l’Arabia Saudita continua a sedere nel Consiglio dei Diritti Umani. Né sembra porre problemi la mancanza di libertà religiosa che domina nei Paesi retti dalla sharia, la legge coranica, dove i non musulmani sono soggetti a pesanti discriminazioni, spesso estese a correnti islamiche non gradite, come nel caso degli sciiti. I quali, dal canto loro, hanno instaurato una rigida teocrazia in Iran.



La tendenza alla radicalizzazione islamica sta sempre più aumentando. Gli interventi dell’Occidente hanno abbattuto le dittature militari che governavano Paesi come Afghanistan, Iraq e Libia, un tentativo in corso anche in Siria, con il risultato di un caos che ha lasciato ampio spazio ai movimenti fondamentalisti. Lo stesso processo sta avvenendo in Pakistan, con un prezzo particolare pagato dai cristiani, come dimostrano l’assassinio di Shahbaz Bhatti e la condanna a morte di Asia Bibi, i casi più evidenti di una persecuzione ben più vasta. Fenomeni simili stanno emergendo anche in uno Stato finora sostanzialmente tollerante come l’Indonesia, il Paese musulmano più popoloso, dove è finito sotto processo il governatore cristiano di Giacarta. Come in Pakistan, anche qui una legge sulla blasfemia viene usata per discriminare e colpire i non musulmani.

Emerge ancora una volta il punto critico che contraddistingue l’islam, o la sua grande parte: la stretta identificazione tra religione e politica, che porta inevitabilmente alla costituzione di teocrazie. Senza risolvere questo problema, le maggioranze islamiche pacifiche non riusciranno a contrastare le minoranze fondamentaliste.