Secondo l’Europol, l’Ufficio europeo di polizia, in un rapporto reso noto nei giorni scorsi, più l’Isis perde il controllo dei territori occupati in Siria e in Iraq e più il nostro continente è a rischio di attentati terroristici. E’ un allarme che si conosceva da tempo: una volta sgominato il califfato, i foreign fighters sopravvissuti cercheranno di tornare nei loro paesi di origine e qui continuare la loro guerra. La novità che l’Europol sottolinea è che la base per queste operazioni del terrore diventerà la Libia, mentre il metodo più usato sarà quello, ancora inedito in Europa, delle autobombe. Qualche mese fa una macchina piena di bombole del gas pronte a esplodere è stata trovata vicino alla cattedrale di Notre Dame a Parigi, un avvertimento dell’inizio di questa strategia. Secondo il generale Mario Mori, fondatore dei Ros e già capo del Sisde, per mettere in atto questa strategia, per quanto riguarda il nostro Paese, “ci vuole un radicamento sul territorio che fino a oggi solo Cosa Nostra ha dimostrato di avere e che queste cellule islamiche non hanno. Sicuramente però” ha aggiunto “siamo davanti a una nuova fase che si prospetta per il terrorismo di matrice islamica”.



Secondo l’Europol la fine del califfato segnerà una recrudescenza degli attentati in Europa. Cosa c’è di concreto secondo lei in questo allarme?

Bisognerebbe sapere quali elementi concreti ha la polizia europea per fare questo tipo di segnalazione. Indubbiamente siamo davanti a una fase nuova che si prospetta per il terrorismo, specialmente quello di matrice islamica.



Quello che più sembra far paura è il ritorno nei loro paesi di origine dei tanti foreign fighters che hanno combattuto in Siria e in Iraq. E’ d’accordo?

E’ vero che l’Isis sta perdendo territorio, ma bisogna sapere che avevano modificato le loro strategie già da tempo, non lo fanno solo ora. Tempo fa ci fu il caso di una sorta di pentito, in Germania, un foreign fighter che aveva combattuto in Siria e poi era tornato in patria con un compito preciso.

Quale?

Aveva avuto l’incarico di realizzare piccole cellule sul territorio per dar vita ad attività terroristiche. Questo potrebbe essere la spiegazione di questa accelerazione segnalata dal rapporto dell’Europol. Era poi tornato in Siria e prima di morire colpito da un drone aveva definito i piani per la strategia terroristica in Europa, una strategia che prevedeva delle cellule composte da due elementi: un gruppo operativo composto da foreign fighters tornati in patria e l’altro da cosiddetti stanziali che avevano il compito di collegamento. 



Dunque siamo già in stato di allarme?

Quello che possiamo dare per certo è che di fronte alla perdita di territorio subita in Medio oriente, modificheranno sempre di più il loro atteggiamento, rientrando nell’ottica strategica di al Qaeda. Se l’obiettivo dell’Isis era costruire uno stato islamico, obbiettivo che sta svanendo, al Qaeda si è sempre concentrata sugli atti terroristici isolati.

Si parla della Libia come base per queste cellule. Questo significa che bisognerà pensare a un intervento militare?

Strategicamente è un’altra cosa. La Libia è un magma dove ci si combatte tutti contro tutti e dove nessuno vuole assumere un impegno militare preciso. Il governo di Tripoli ha il sostegno di Turchia, Qatar e altri paesi arabi, quello di Bengasi dell’Egitto e della Russia. Poi ci sono le nazioni occidentali che non vogliono rischiare la possibilità di gestire i giacimenti petroliferi. La Libia non è la Siria o l’Iraq.

 

Ma questo potrebbe significare che l’Italia, fino a oggi risparmiata dal terrorismo islamico, può adesso diventare un obiettivo?

La tecnica militare dice che è più facile combattere un nemico che si conosce piuttosto che un nemico che potrebbe essere dovunque. Una volta che viene meno l’Isis, cosa che peraltro ancora non si è verificata, si potrebbero avere tante ripercussioni. Per quanto riguarda l’Italia, manca del tutto da parte dei miliziani dell’Isis una penetrazione sul territorio, cosa che aveva la mafia, che infatti sapeva bene come utilizzare l’arma delle autobombe. Ma Cosa nostra era ben radicata sul territorio, era tutt’altra cosa rispetto a questi terroristi. Bisogna creare un’organizzazione, trasportare il materiale esplosivo, realizzare la confezione e fare l’attentato. Parliamo di cose serie.

 

Nel suo rapporto l’Europol parla di 667 persone arrestate sospettate di attività jihadiste in Europa nel corso del 2015. E’ un numero significativo?

Attenzione: in questo numero bisogna distinguere tra qualche vero terrorista, qualcuno a cui è stata attribuita la nomea di terrorista e qualcun altro che era solo sedicente terrorista. Bisognerebbe fare una ripartizione specifica, quel dato viene fuori da una richiesta fatta a livello europeo ai vari sistemi nazionali di polizia: quanti ne avete arrestati? E loro ti dicono una cifra che include dentro di tutto.

 

La nuova politica americana con Donald Trump come può reagire a questo allarme, cambierà qualcosa?

Gli Stati Uniti nell’ultima fase dell’amministrazione Obama stavano già tirandosi fuori, disimpegnandosi. Trump ha fatto in campagna elettorale strane dichiarazioni, dicendo che l’Europa deve essere capace di pensare a se stessa. Sarà decisivo vedere che rapporto si instaurerà a livello di lotta al terrorismo tra Washington e Mosca, una reale alleanza tra Usa e Russia sarebbe la svolta decisiva contro il terrorismo.