E fanno tre: un parlamentare, un vice-ministro in attesa di veder confermate le sue dimissioni – un uomo politico di lungo corso che dalle rive socialiste era approdato sul lido dei nazionalisti – e il segretario generale del ministero degli Esteri, Jorgos Tsipras, cugino del primo ministro – fu una nomina piuttosto “chiacchierata”. Tutti e tre hanno, con termini diversi, ammesso che, per usare le parole del cugino Tsipras: “Ciò che dicevamo nel gennaio del 2015 è diverso da ciò che ci hanno obbligato a fare”. L’ex vice ministro si è spinto oltre: “Tsipras ha illuso gli agricoltori”. Non c’è dubbio che, in questa generale crisi di nervi e di identità, i parlamentari “syrizei” sono sotto pressione. Spesso sono oggetto di feroci critiche e minacce Riescono comunque a evitare le critiche nascondendosi dietro l’analisi “ideologica” dei fatti.
Un esempio? Un vice ministro ha affermato, e non è la prima volta, che “la libera stampa è una patogenesi della democrazia”. Poi si è corretto, affermando che la sua analisi aveva caratteri “scientifici” e non politici. È lo stesso vice ministro che si è presentato in maniche di camicia in un incontro ufficiale con il Presidente della Repubblica. E che dire delle sedi periferiche di Syriza, mute spettatrici di atti vandalici dettati dalla rabbia?
Né Syriza, né il primo ministro sono più nelle grazie della base elettorale che li ha portati al governo. Intanto, i pensionati sono spesso per le strade per protestare contro la riforma previdenziale, per ora ipotetica, in attesa che la Troika aiuti a redigere il disegno di legge definitivo. Gli agricoltori stanno bloccando tutte le comunicazioni e intendono proseguire la lotta. Gli avvocati di fatto stanno bloccando i tribunali. E poi medici, insegnanti e altre categorie.
Un sondaggio fotografa con precisione lo stato del malessere e della delusione sociali. Cinque mesi dopo le elezioni, il governo è sotto scacco e si conferma la sofferenza di Syriza, secondo partito (23,3%), dopo Nea Demokratia che è in vantaggio di 3,7%. Ma i numeri concreti sono altri: il 27,1% pensa che il governo più adatto in questo momento sarebbe quello a guida Nd, e il 21,9% quello a guida Syriza. Ma il 34,9% afferma che nessuno dei due partiti è quello migliore per far uscire il Paese dalla crisi. Mentre il 41,6% ritiene che entrambi i contendenti, Tispras e il Presidente di Nd Mitzotakis, non siano “adatti” a governare il Paese. Questi dati – se poi si aggiunge la percentuale di astenuti alle ultime elezioni (44,1%) – confermano che in questo momento i due grandi partiti non riescono a creare una rete di consenso in alcune classi produttive che non vedono sbocchi alla crisi economica.
Il Paese è in fibrillazione. Rischia una crisi umanitaria: sull’isola di Kastellorizo (nota perché ha fatto da sfondo al film “Mediterraneo”) ieri si contavano 740 migranti a fronte di 250 isolani. A Lesvos sono sbarcati ieri più di 2000 persone. A ciò si aggiunge il rischio di un “nuovo 2015”. A Bruxelles, Tsipras ha ottenuto alcuni risultati sul tema dei migranti, e cioè l’impegno dei 28 Paesi a non chiudere unilateralmente le frontiere almeno fino al 6 marzo, anche se è tutto rimandato al 5 marzo, quando è prevista la presenza della Turchia, e sta intrecciando alleanze politiche per pressare la Troika a ritornare ad Atene per riavviare i colloqui sulla prima valutazione del nuovo programma di aiuti.
E ad Atene hanno fretta di passare l’esame – si spera entro il 27 marzo, giorno della Pasqua cattolica. Per questa ragione, ieri Tsipras si è incontrato con Frau Merkel e Monsieur Hollande. Il trio si è trovato d’accordo sul fatto che la Troika deve ritornare al più presto ad Atene, perché le discussioni vanno riprese al più presto, sostiene il governo, per poter dare avvio a una nuova stagione economica e ripristinare un clima di fiducia.
Ma i segnali non sono confortanti per il governo, il quale sostiene che il Fmi vorrebbe un nuovo accordo, aggiungendo che per Atene l’accordo firmato a luglio è il limite di discussione. Il nodo resta sempre la presenza-influenza del Fmi, il quale chiede una sostanziale riduzione delle pensioni. Purtroppo, anche il presidente dell’Eurogruppo si è allineato sulla posizioni del Fondo e ha ribadito che le pensioni in Grecia sono alquanto “generose”, nonostante i dodici tagli subiti dal 2010. La spesa previdenziale rappresenta ancora il 17% del Pil di un Paese in recessione (-0,7%, l’ultimo trimestre del 2015, quando il governo aveva previsto uno zero). Gestione della crisi con i creditori, capital controls e aumento delle tasse hanno influito sulla percentuale recessiva e sulle entrate che hanno segnato un -610 milioni a fine 2015 che conferma l’equazione: più tasse meno entrate.
Questo “buco” porterà a nuovi tagli? E invece perché non agevolare gli investimenti? Ma chi verrebbe a investire in Grecia, quando i segnali del governo sono contraddittori?