“Dietro alla morte di Regeni non ci sono né una vendetta per motivi personali né i Fratelli Musulmani. La pista da seguire è quella suggerita dal New York Times, che ha pubblicato un articolo in cui funzionari della polizia egiziana sotto anonimato hanno detto che il ragazzo italiano è stato ucciso dalle forze dell’ordine perché scambiato per una spia”. Lo sottolinea Shahira Amin, ex vicedirettrice della tv pubblica egiziana Nile Tv e attualmente giornalista indipendente. Giovedì il ministro dell’Interno egiziano ha pubblicato un comunicato in cui si afferma che quello di cui è rimasto vittima Regeni è un omicidio premeditato per una vendetta legata a motivazioni personali. In precedenza le autorità egiziane avevano attribuito la responsabilità della morte del ragazzo ai Fratelli Musulmani.



Amin, è possibile che dietro al caso Regeni ci sia una vendetta per motivi personali?

Dubito che un comune criminale utilizzi metodi di tortura così sofisticati come le scosse elettriche, l’estrazione delle unghie o le bruciature di sigarette. Questi sono i tratti distintivi delle punizioni inflitte dalle forze di sicurezza egiziane. Sarebbe stato un altro discorso se Regeni fosse stato accoltellato.



Come valuta il modo in cui il presidente Sisi sta gestendo questa patata bollente?

Mercoledì il presidente Sisi ha tenuto un discorso per spiegare che è possibile che uno o due agenti siano corrotti, ma che è un errore generalizzare accusando l’intero corpo di polizia. Quando i media hanno chiesto di identificare i responsabili, mettendo fine all’impunità della polizia, Sisi ha replicato che gli autori di queste richieste saranno considerati come cospiratori contro lo Stato. Tutto ciò è estremamente preoccupante, perché è il nostro mestiere di giornalisti quello di mettere la polizia e il governo di fronte alle loro responsabilità.



La chiave del delitto potrebbe essere una lotta intestina nell’apparato di sicurezza egiziano?

Questo è possibile, i servizi segreti sono fedeli a Sisi, ma nell’apparato di sicurezza sembrano esserci delle differenze. Resta il fatto che nella settimana in cui Regeni è stato ucciso ci sono stati altri quattro incidenti in qualche modo ricollegabili. Per esempio un agente ha avuto una discussione con un autista, che gli aveva chiesto una tariffa giudicata troppo elevata, e gli ha sparato nella testa. Il tutto per 40 sterline egiziane, pari a circa 4 euro.

E se fossero stati i Fratelli Musulmani?

E’ un’ipotesi che non condivido. Le autorità egiziane attribuiscono ai Fratelli Musulmani la responsabilità per qualsiasi cosa negativa si verifichi nel Paese. Anche quando c’è stata l’inondazione ad Alessandria, i media legati al governo hanno affermato che era colpa dei Fratelli Musulmani che intasavano le fognature con mattoni e cemento.

Come andrà a finire questa vicenda?

Vorrei tanto che le autorità riuscissero ad arrestare il vero responsabile, o che fossero abbastanza trasparenti da ammettere che hanno commesso un errore, per esempio scambiando Regeni per una spia. Ma questo purtroppo non accadrà mai, e quindi non riusciremo a sapere chi ha ucciso il ricercatore italiano.

 

Che cosa dovrebbero fare le autorità italiane per riuscire a ottenere qualcosa di più?

I servizi segreti italiani dovrebbero seguire la pista suggerita dal New York Times. Il quotidiano newyorkese ha pubblicato un articolo in cui si citano dei funzionari egiziani sotto anonimato. Personalmente ritengo molto più affidabile il New York Times del settimanale egiziano governativo Youm7, che pure spesso è citato inopinatamente dai media occidentali come una fonte sul caso Regeni.

 

Che cosa dovrebbe chiedere l’Italia alle autorità egiziane?

L’Italia dovrebbe chiedere all’Egitto di fornire le immagini registrate dalle telecamere di sorveglianza nel momento in cui Regeni è stato sequestrato. Lo stesso vale per la compagnia telefonica che gestiva il numero di Regeni, in modo da conoscere i contenuti dei suoi messaggi e delle sue conversazioni. Gli investigatori italiani dovrebbero avere accesso a tutto questo materiale. Le strade da seguire sono l’intelligence e la diplomazia, mentre eviterei la minaccia di ritorsioni economiche, che peggiorerebbero soltanto i rapporti tra i due Paesi. Credo in forme morbide di diplomazia, piuttosto che in minacce e ritorsioni.

 

(Pietro Vernizzi)