NEW YORK — Volenti o nolenti bisognerà cominciare a prenderlo sul serio e farsene una ragione. L’anomalia Trump è un fatto. Che oltreoceano vi faccia ridere o che qui, nel nuovo continente, ci faccia preoccupare o piangere di vergogna, non importa un granché.
Trump sembra inarrestabilmente avviato alla nomination. A questo punto delle primarie, a pochi giorni dal Super Tuesday, il filotto di tre vittorie consecutive è la più grande leva promozionale che un candidato possa augurarsi. La gente preferisce votare chi è già forte e salire sul carro del vincitore piuttosto che sprecare il proprio voto dietro ad anime perse e cani sperduti senza collare. Come da bambini, che tutti prima o poi passavano alla Juve per poter festeggiare qualche vittoria. All’improvviso il partito repubblicano si trova a dover pompare quel pistolino di Rubio (obiettivamente non ha neanche il physique du rôle per fare il presidente) nel disperato tentativo di arginare cavallo (e capello) pazzo Trump. Steroidi ed ormoni della crescita arrivano improvvisamente a Marco Rubio sotto forma di soldi e macchina organizzativa del partito per aiutarlo a vincere qualcosa. E bisogna che si sbrighi a vincere qualcosa perché fino ad ora Rubio si è sempre “piazzato”, ma una vittoria non l’ha nemmeno intravista.
Arrivano pure gli endorsements, gli appoggi ufficiali, le dichiarazioni di voto di personalità varie. Mentre Ted Cruz cerca di restare a galla aggrappandosi al suo Texas, le ruote della macchina elettorale repubblicana cominciano a girare tutte in direzione di Rubio. A questo si aggiungono gli attacchi diretti contro Trump, come quello lanciato ieri da Mitt Romney il quale ha sfidato Donald ad esibire le sue dichiarazioni dei redditi che “potrebbero” svelare qualche sinistro segreto.
Lasciamo pure perdere da che pulpito sia venuto l’attacco, ma il messaggio è chiaro: il Grand Old Party le sta provando tutte per liberarsi dell’uomo dai capelli arancioni. Basterà per “rinormalizzare” il volto ed il voto repubblicano? Forse no. Forse non c’è tempo e certamente non c’è “momentum“, non c’è energia sufficiente a ribaltare l’inerzia che si è andata creando. Qualche mese fa nessuno — probabilmente neanche Trump — si sarebbe immaginato lo scenario che ci ritroviamo a questo punto delle primarie. La cosa più straordinaria di questa situazione è che un miliardario di dubbia fama (sia professionale che personale), lontano da ogni standard di political correctness, di aspetto — diciamo così — curioso e per giunta newyorkese (solo i newyorkers amano i newyorkers) va raccogliendo il consenso di oves et boves. Soprattutto della gente comune, immigrati e figli di immigrati, minoranze, persone scarsamente istruite, poveri o impoveriti, e persino quei bacchettoni degli evangelici, quel campionario di esseri umani da cui uno si aspetterebbe ogni sorta di avversione per un candidato come Trump.
E invece lo adorano. Con il suo parlare diretto fino al brutale li infiamma, li conquista, e li fa andare a votare: in Nevada il numero di voti raccolti da Trump è stato più alto del totale dei votanti di 4 anni fa! Con Trump la gente comincia a pensare che la politica non sia solo per i politicanti. Serviranno anche quelli, ma solo per guidare la macchina dove dirà lui, come ha fatto capire l’imprenditore-candidato parlando di chi dovrà essere il suo Vice.
Sì, è un voto di protesta, per tanti versi simile al vostro 5 Stelle (ecco, voi vergognatevi di quello), uno schiaffone in faccia al potere costituito, alla partitocrazia ed alla politica come mestiere. Ed è anche un enorme salto nel buio. Come per Sanders, col quale Trump condivide molto di più di quanto si possa pensare. Anche se per ragioni (parzialmente) diverse i nemici sono gli stessi: Wall Street, i banchieri, le lobbies di Washington, l’apparato politico, l’establishment anche dei propri partiti. Ma alla corsa di Sanders più che ostacoli il partito democratico sta opponendo un muro che Bernie non sembra proprio poter superare. Mentre i repubblicani continuano a procedere sbrindellati tra cinque fazioni (Kasich e Carson non molleranno prima di Super Tuesday) lasciando Trump libero di fare l’asso pigliatutto, i democratici si compattano attorno a Hillary: smettiamola di scherzare, votiamo la Clinton e piantiamola lì con queste ribellioni.
Chiara dimostrazione del fatto che i cosiddetti liberals sono molto più conservatori dei cosiddetti conservatori, perché non c’è nulla di più immobile, stantio, pietrificato, dell’ideologia. E in questo i democratici sono molto più avanti dei repubblicani.