Dolby Theater, Hollywood. Esiste davvero? Dico, un posto dove la gente si veste come quelli che camminano su quel tappeto rosso. Io c’ho due tappeti rossi stesi davanti a casa. Sono lì ad asciugare dopo che ci si è allagato il basement settimana scorsa, ma noi continuiamo a vestirci normalmente e di fotografi neanche l’ombra. Ancora una volta, per l’ottantottesimo anno, si ripete questa liturgia in cui il sogno americano prende le fattezze dell’America dei sogni. E ogni anno assieme ai sogni arrivano gli incubi e le fisse. Quella di quest’anno è la questione dei neri. Non c’è nemmeno una nomination di african-american… E come si fa?! Ma scherziamo? Come ho già detto… la prossima volta cercate di fare qualcosina di meglio che magari una nomination la rimediate.
Ci pensa Chris Rock, comico brillante dalla voce garrula, a dare un colpo al cerchio e uno alla botte, a cavallo tra ironia (più o meno felice) e istanze di pari opportunità. Con uno sprazzo di amaro realismo – “quando la nonna penzolava da un albero non ci preoccupavamo tanto del colore dei nominees… “, una battuta pesante – “potremmo dare un Oscar a tutti i neri presi a pistolettate dai poliziotti mentre andavano al cinema…”, e un’osservazione legittima: questo di Hollywood sarebbe il mondo dei “liberals”…
Due anni fa con 12 Years a Slave avevano dato un Oscar anche agli uscieri di colore. Se c’è un problema anche qui andate a dirlo a Hillary che sta rastrellando il voto della comunità nera. Di tutti i posti in questo Paese sempre più tribolato non mi sembra il Dolby Theater il luogo più legittimato a discutere questioni razziali. E invece è proprio questo il tormentone di tutta la serata. Finché non arriva Joe Biden, il nostro Vice Presidente accolto da una standing ovation a chiedere l’impegno di tutti contro le violenze sessuali. Così le cose sembrano scorrere per una volta senza le solite sbrodolate pro gay & lesbians…. Eh no! Arriva l’Oscar per il miglior brano originale e Sam Smith, statuetta in mano, ci commuove informandoci che si tratta del primo riconoscimento hollywoodiano a un artista ufficialmente gay. Mah…
Le evidenze di una volta sono scomparse, ma in compenso i nuovi luoghi comuni prosperano. Come ci fa presente Sacha Baron bisognerebbe tutelare anche gli omini gialli, pure loro non rappresentati.
Si va avanti, senza sprazzi, senza guizzi di vita. Danno persino l’Oscar a DiCaprio, così Leonardo non deve seppellirsi in pubblico per l’ennesimo fallimento. Il premio all’interprete della prima storia transgender (The Danish Girl) per ora salta. L’ultima statuetta, best picture, se la porta a casa Spotlight. Non l’ho ancora visto, ma pare sia una narrazione dura, seria e sofferta dello scandalo pedofilia. È il produttore di Spotlight a lanciare l’ultimo messaggio: un grido, che la voce di questo film arrivi al Vaticano, e una preghiera, che le fede venga restaurata.
Si chiude il sipario. L’America dei sogni lascia in fretta il palcoscenico al Super Tuesday. Cambia lo scenario, ma noi restiamo sempre in bilico tra sogni e incubi.