NEW YORK — Sapete perché in un paese come l’America dove praticamente non esiste Stato sociale, e dove costi per l’istruzione, fondi pensionistici e sistema sanitario sono tre incubi, non ci sono né un partito comunista né uno socialista? La ragione è molto semplice: né il socialismo, né tantomeno il comunismo hanno mai interessato nessuno. Almeno fino all’altro ieri. In Iowa, Bernie Sanders ha rischiato di fare quello in cui nessun candidato di sangue ebreo è mai riuscito: vincere un turno delle primarie. E magari l’appuntamento è solo rinviato di una settimana, quando la sfida tra il settantaquattrenne di Brooklyn e Hillary Clinton si riproporrà in New Hampshire.
Sanders non è un populista, non offre promesse di quelle che si possono stiracchiare in un modo o in un altro, non ci prova neanche a salvare capre e cavoli: ha amici che lo amano e nemici che lo ucciderebbero. Sanders è un socialista vero. Un senatore sì, ma un senatore del Vermont, la “riserva” degli hippie degli anni 60.
Qualche mese fa nessuno si sarebbe aspettato di averlo ancora tra i piedi a questo punto della contesa. Una campagna elettorale — così è sempre stato — è in buona parte una questione di soldi. E dove li trova i soldi un candidato che continua a lanciare proclami di guerra contro il mondo della finanza, contro il grande capitalismo, contro “i ricchi”, quell’1% che, come dice lui, ha in mano tutta la ricchezza di questo paese? Tassare i milionari, spremere Wall Street, sanità gratuita per tutti, università statali a costo zero, salario minimo a 15 dollari l’ora… L’altra sera, dal quartier generale della sua campagna in Iowa, quando ancora l’impensabile miracolo di una vittoria appariva possibile, Bernie ci ha detto che si può combattere anche senza soldi. A Hillary Clinton ammanicata ai potenti quanto i repubblicani, Sanders risponde con 3,7 milioni di supporter, gente comune: donazione media, 27 dollari!
Guardo Sanders e reagisco da bipolare. Vi assicuro che non sono l’unico. C’è un fascino innegabile in quest’uomo. Lasciamo stare la perfezione, l’assoluta competenza in ogni campo dello scibile umano, la mancanza di “peccato”. Sarà un disgraziato come tutti. Ma a differenza degli altri candidati Sanders sembra “vero”, mosso da un ideale. In un paragone, diciamo così, umano, Sanders con la sua passione è tre spanne sopra agli altri.
Ma è socialista… portatore di ciò che gli Stati Uniti hanno sempre rigettato e combattuto. Proprio qui sta il punto che mi colpisce di più. Il successo di Sanders ci dice dell’agonia dell’American dream; la sua vittoria finale ne sancirebbe la morte. Siamo al ribaltamento della famosa frase di John F. Kennedy. Non più chiedersi che cosa possiamo fare per il nostro paese, bensì vediamo di distribuirci la ricchezza che in questo paese alcuni, usando molti altri, sono riusciti ad accumulare. Tempo di rimborsi.
La gente comune ha messo insieme questo paese conquistandolo passo dopo passo, sempre sognando di “farcela”, facendo di tutto per non venire impastoiata dallo Stato. Tutto aveva in mente tranne che la socialdemocrazia. Ora il sogno è cambiato. Forse è tutto troppo incerto, forse l’ingenua baldanza di una volta sta lasciando il passo allo scetticismo, forse anche le giovani generazioni percepiscono che questo non è un paese per vecchi, e che la loro gioventù sfiorirà presto.
Forse questo sogno era sbagliato sin dal principio o forse lo stiamo semplicemente rimpiazzando con qualcosa di altrettanto irreale.
Comunque sia, Sanders ci crede. E tanti sembrano crederci con lui.