Come spesso avviene, le svolte della storia ci sorprendono. Il tema dell’incontro tra il Papa e il Patriarca di Mosca, ormai trito e ritrito, sollevato da anni dai giornalisti, fin dai tempi di Giovanni Paolo II e del suo sogno di incontrare il primate ortodosso russo e di mettere piede sulla terra della Santa Rus’, improvvisamente si è realizzato, annunciato da un comunicato stampa congiunto che colpisce per il suo insolito linguaggio — vi si parla di gioia, di grazia di Dio, di speranza per tutti gli uomini di buona volontà, della necessità di “pregare con fervore affinché Dio benedica questo incontro, che possa produrre buoni frutti”.
Eppure a questo incontro si stava lavorando, ormai in maniera concreta, da circa un anno, in stretta collaborazione tra i competenti dicasteri della Santa Sede e del Patriarcato di Mosca. Ma l’analisi dei problemi, la ricerca di temi e proposizioni accettabili per entrambe le parti, insomma il normale lavoro diplomatico, ad un certo punto si vede con sorpresa superato da un quid eccedente tutti i fattori — anche politici, sociali, culturali che sarebbe ingenuo non mettere in conto. Di questi fattori parleranno in abbondanza tutti i media, e non è questo che a me ora interessa. Se si vuole, è lo stesso mistero della nascita, un mistero che supera tutti i fattori antecedenti che pure spiegano il generarsi di una nuova vita. Quando ci si trova di fronte al bambino che è nato, si capisce bene che c’è molto “altro”, oltre a quello che vediamo o possiamo sapere di lui e dei suoi genitori.
È lo stesso effetto che mi fa questo incontro, dove è evidente, tanto più quanto più lo si è visto maturare, che l’autentico protagonista è un Altro. Si possono citare tutti i fattori contingenti, gli interessi politici della Federazione Russa, il prestigio internazionale della Chiesa ortodossa più numerosa del mondo, le crescenti tensioni a livello mondiale, ma non bastano a far quadrare il cerchio della concomitanza di tanti elementi che hanno reso possibile, e fin dall’inizio con tale nettezza di consapevolezza ecclesiale, questo incontro: l’incontro fra due Chiese che non si sono mai incontrate nella storia, tra due culture che si sono pensate per secoli in antitesi, e tutto questo sul territorio di uno Stato che per anni si è dimostrato nemico della fede cristiana, una specie di Zaccheo che ora fa atto di pentimento e gioiosamente offre la sua casa per questo impensato abbraccio fraterno…
Ma c’è un altro aspetto da tenere in considerazione: se la notizia è eclatante per il mondo occidentale, oltre che cattolico, in Russia ha semplicemente un effetto bomba, significa il crollo di un muro che divide non solo l’ortodossia dal cattolicesimo, ma, soprattutto in questi ultimi mesi, anche il Paese dal resto del mondo. Tanto più che non si svolgerà nel territorio di una potenza in qualche modo concorrenziale, ma nella “fraterna” Cuba. Francesco è forse l’unica persona che oggi simboleggia un “altro” Occidente, l’unica persona in grado di tendere la mano e di farsi realmente “tutto a tutti”.
Per questo, l’incontro assumerà una grande valenza sociale, diverrà, come avevano sempre chiesto i pontefici e i patriarchi che da anni pensavano all’incontro, un momento di festa per l’intera popolazione. Ma richiederà anche un lavoro, da parte delle comunità ecclesiastiche russe, ortodosse e cattoliche, per comprendere ciò che l’incontro simboleggia: un’unità che precede ogni divisione e brucia risentimenti, divisioni, recriminazioni, nel fuoco della passione per l’unità, o almeno nel dolore di non percepire il dolore della divisione.
Per uno dei casi della vita, la notizia del comunicato mi sorprende a Smolensk, ospite del seminario ortodosso. È la città in cui il Patriarca Kirill è stato metropolita per 25 anni, e la notizia qui ha un’eco speciale, la gente lo sente ancora come il “suo” vescovo, il rettore è un suo figlio spirituale. Si vive uno sbalordimento gioioso, la mamma di un seminarista gli manda un sms con la notizia, e chiude con un “Alleluia” a lettere maiuscole. Intanto un amico mi raggiunge da Mosca: “Grazie a Dio che ha reso possibile il miracolo, e grazie a tutti quelli che per anni l’hanno custodito e preparato, grazie a voi della Biblioteca dello spirito e al vostro lavoro”. Difficile vedere una correlazione tra la quotidianità del nostro lavoro e l’evento epocale cui stiamo per assistere, eppure non c’è posto per false umiltà: proprio perché è evidente la sproporzione tra quello che noi possiamo fare e quello che compie il Signore della storia, non resta che accettare con trepidante gratitudine la possibilità di essere suoi strumenti lungo le svolte della Grande storia.