Mentre in altri Paesi latinoamericani le ferite delle dittature degli anni Settanta nella società sono state risolte attraverso un dialogo alle volte duro, ma che ha portato a una revisione storica funzionale a non dimenticare quella triste decade in modo da non ripeterla, in Argentina la problematica è ancora aperta e dolorosa. Nel mese di dicembre, poco prima delle elezioni, un editoriale del quotidiano La Nacion chiedeva una giustizia congrua alle leggi per i militari responsabili della dittatura genocida ancora incarcerati, fatto che ha provocato una ribellione interna della redazione del giornale stesso, mentre poco più di un mese fa il Direttore del Teatro Colon, uno dei centri mondiali dell’opera, nonché responsabile della cultura della città di Buenos Aires Dario Loperfido, ha definito falso il numero di 30.000 desaparecidos di quegli anni, provocando una tempesta mediatica notevole. 



Sia chiaro: la cifra è stata contestata più volte nell’arco degli anni, passando dai 9.000 casi registrati nel processo della Conadep (quello reso famoso dalla frase “Nunca mas”) fino ai 7.984 dichiarati da Graciela Fernandez Meijlde, madre di un desaparecido ed ex Ministro, fulcro di una ricerca della verità che ha registrato un significativo episodio nella pellicola “Il dialogo” di Pablo Racioppi, nella quale si incontra con l’ex terrorista Montonero Ricardo Leis, autore di vari libri che sono serviti da base a una revisione storica di quel triste periodo fatta da molti membri di organizzazioni terroristiche che riconoscono errori di un decennio molto lontano dalle epopee leggendarie che sono state propagandate in questi anni, avendo in comune con una dittatura genocida il demonio della violenza. Su questa problematica abbiamo intervistato il segretario del Ministero per i diritti umani Claudio Avruj.



Qual è la politica dei diritti umani che si vuole sviluppare dopo il risultato elettorale di dicembre?

È in generale un paradigma di dialogo e costruzione congiunta alla società: questo concetto include un cambiamento nella politica dei diritti umani dove affermiamo che sono un patrimonio della gente, non un simbolo del Governo di turno, avendo lo Stato la funzione di proteggerli e promuoverli. La nostra visione del problema si articola in 4 punti: la convivenza, il dialogo, l’incontro e il pluralismo. Per noi inoltre la memoria, la verità è l’educazione costituiscono qualcosa di imprescindibile e devono essere una politica di Stato bypassando, come ripeto, i Governi. Siamo conformi alla risoluzione 2030 delle Nazioni Unite approvata lo scorso novembre, che impone agli Stati di promuovere politiche assertive su temi come ambiente, impresa, violenza e diritti umani, violenza istituzionale e di ambito, inclusione, il tutto relazionato con i diritti umani. Oltretutto ricopriamo un ruolo primario nei tre punti fondamentali di questo Governo: povertà zero, lotta al narcotraffico e unità nazionale.



Che visione ha di quel che accadde negli anni 70? 

Il dato più obiettivo risiede nel fatto che l’Argentina ha vissuto una dittatura e un terrorismo di Stato come mai nella sua storia. Siamo tutti coscienti che il Paese entrò in una spirale di violenza inusitata e che lo Stato, che doveva intraprendere azioni per pacificare la società, scelse il cammino peggiore. In funzione di ciò è necessario che si portino a compimento i processi e le condanne per i reati di lesa umanità e violazioni dei diritti umani: la giustizia ha il potere di tranquillizzare una società, dato che la sua mancanza esacerba gli animi. Dobbiamo anche lavorare per educare sulle conseguenze del colpo di Stato del 1976 che significò la perdita dei diritti umani, della libertà, della Costituzione e un isolamento del Paese. Rispetto al precedente Governo non siamo padroni di un discorso egemonico e non siamo contro nessuno, perché ciò significherebbe continuare nella divisione e siamo ottimisti sul fatto che l’unione degli Argentini sia realizzabile attraverso il dialogo.

Come intendete affrontare la ferita che perdura nella società su questo tema?

Credo che in questi anni di democrazia si siano commessi degli errori strategici che hanno provocato questa frattura: gli indulti del Governo di Menem provocarono danni, così come l’appropriazione della bandiera dei diritti umani fatta dal precedente governo per legittimare le proprie azioni. Si tratta di fattori che ci hanno impedito di procedere verso un incontro naturale con la gente. Sono un difensore dei programmi di educazione alla memoria che credo siano la chiave per risolvere il problema ponendosi nella posizione più obiettiva possibile nel giudicare. Aprendo altresì spazio agli studi, promuovendo libri sull’argomento: la letteratura è davvero cospicua e la sua diffusione può dare un aiuto concreto nell’umanizzare la storia a portarla a essere argomento di un’analisi critica. Lo Stato deve essere un mediatore di tutto questo e non uno strumento che opera posizioni di parte, che alimentano fanatismi. Stiamo lavorando per diffondere questa politica nelle scuole e nei più diversi settori della società, in collaborazione con le istituzioni.

 

(Arturo Illia)