“Il governo italiano in Libia si limiti a operazioni di supporto e di intelligence, ma eviti di entrare a piedi uniti in una partita che alla fine sarà decisa dai libici delle varie fazioni. L’attuale Libia non è una minaccia per gli interessi italiani, e la stessa presenza dell’Isis nel Paese non è strategica”. Lo osserva Lucio Caracciolo, direttore di Limes. Martedì il segretario alla Difesa americano, Ash Carter, ha dichiarato che “l’Italia, essendo così vicina, ha offerto di prendere la guida in Libia. E noi abbiamo già promesso che li appoggeremo con forza”. Carter ha aggiunto che la coalizione internazionale interverrà non appena il governo libico di unità nazionale si sarà insediato, “speriamo al più presto”.
Caracciolo, gli italiani oggi sono gli unici a non avere i piedi in Libia. Come fanno ad assumere la regia dell’intervento?
Quella di Carter mi pare una dichiarazione più formale che sostanziale, nel senso che per avere un effettivo comando bisogna disporre di un contingente più robusto di quello degli altri Paesi. Noi non abbiamo alcun contingente in Libia, almeno ufficialmente. Che poi ci siano uomini dell’intelligence sul terreno questo è un altro discorso, ma non abbiamo certamente uno schieramento di forze speciali come hanno invece americani, francesi e inglesi. Quella di Ash Carter semmai può essere una dichiarazione a futura memoria e a futuro invio di un contingente italiano, che però non mi pare per nulla vicino.
E se la dichiarazione di Carter fosse stata fatta in cambio della cessione di qualcosa da parte di Renzi?
E’ così. Nel momento in cui gli Stati Uniti avranno bisogno delle nostre basi aeree in Sicilia potranno utilizzarle. Il problema per il nostro governo è quello di non dare troppa pubblicità a dei fatti che già avvengono e di cui sappiamo poco. Del resto tutta questa operazione bellica in Libia avviene sottotraccia.
Perché? Che cosa si teme di più?
Si teme che per rappresaglia l’Isis metta in atto degli attentati in Europa e che vi siano magari azioni militari nei Paesi vicini, in particolare in Tunisia e nel Ciad, che sono di strategico interesse per la Francia. D’altra parte non è chiaro a quale obiettivo strategico puntino le operazioni occidentali in Libia, salvo quello di utilizzare la presenza dell’Isis sul terreno come un pretesto per intervenire.
Nel frattempo che cosa stanno facendo i militari americani, francesi e inglesi in Libia?
Sono contingenti di forze speciali e di intelligence non particolarmente cospicui. Sono lì innanzitutto per cercare di mobilitare le forze libiche contro l’Isis, e poi per tenere sotto controllo per quanto possibile alcune infrastrutture strategiche ed energetiche che in questo momento sono minacciate dalla guerra. Senza rimettere in funzione il meccanismo di produzione ed esportazione di petrolio libico il Paese è destinato al collasso definitivo. La produzione è sotto i 200mila barili al giorno e nelle casse dello Stato ci sono pochissimi soldi.
Quante sono le probabilità che il governo di unità nazionale riesca insediarsi?
Zero. Non è preso sul serio quasi da nessuno, compresa una parte di coloro che dicono di sostenerlo. Anche se per qualche motivo il signor Al-Serraj trovasse il modo per insediarsi a Tripoli, sarebbe un governo del tutto illusorio. Anche i governi di Tobruk e di Tripoli stentano a controllare i palazzi dove sono insediati.
Vista la gravità della situazione, che cosa dovrebbe fare il governo italiano in Libia?
Dovrebbe limitarsi a operazioni di supporto e di intelligence. Di più non possiamo fare, e soprattutto non credo che avrebbe molto senso entrare a piedi uniti in una partita che alla fine sarà decisa dai libici delle varie fazioni. Nel caos libico non si capisce quali siano i fronti e gli attori che si combattono perché ci sono centinaia e forse migliaia di milizie presenti nel Paese. Andarsi a infilare in questo contesto non mi sembra un’idea molto brillante.
L’attuale Libia non è una minaccia per gli interessi italiani?
No, non credo che lo sia. Prima di tutto perché la Libia non esiste più. Inoltre la presenza dell’Isis in Libia non è strategica, nel senso che è molto meno robusta di quanto ci sia presentata. Del resto le forze occidentali, e in particolare quelle italiane, non possono dedicarsi alla distruzione dell’Isis. Un intervento occidentale sarebbe infatti utilizzato da altre milizie per avanzare le loro postazioni. Insomma nella vicenda libica possiamo fare poco, salvo eventualmente cercare di proteggere le nostre strutture sul posto.
La produzione di petrolio in Libia è crollata. Su questo ritiene che siano in gioco interessi vitali dell’Italia?
No, in questo momento nel mondo c’è fin troppo petrolio. Eventualmente per l’Italia si tratta di un problema nel medio periodo, ma non certo nel breve. Mentre è un problema molto attuale per la Libia, nel senso che se i libici non riescono a rimettere ordine in casa e quindi a riprendere una posizione sostenuta il rischio è che il caos attuale diventi incontrollabile.
(Pietro Vernizzi)