L’accordo sui rifugiati stipulato tra Unione Europea e Turchia prevede che dal 20 marzo chi immigra illegalmente in Grecia venga rispedito in Turchia per accertare il suo diritto alla qualifica di rifugiato, mentre per i circa 45mila immigrati già ora in Grecia l’accertamento avverrà in questo Paese. Ciò richiederà un consistente invio da altri Stati di personale idoneo a portare a termine questo delicato processo. Per i profughi dalla Siria verrà applicata la cosiddetta regola “uno per uno”: ogni siriano respinto verrà sostituito da un altro siriano preso dai campi in Turchia. L’obiettivo è scoraggiare l’utilizzo degli scafisti per affidarsi invece alle procedure ufficiali previste nell’accordo.
Le obiezioni all’accordo sono varie, a partire dalla difficoltà di attuazione in tempi ragionevoli, per il gravoso compito attribuito a un Paese già in pesanti difficoltà come la Grecia e per le preoccupazioni avanzate da diverse Ong sulla possibile violazione dei diritti degli immigrati. In più, il numero di rifugiati da ricollocare all’interno dell’Ue è fissato in un massimo di 72mila, ritenuto del tutto inadeguato alle esigenze, né è chiaro il trattamento riservato ai rifugiati non siriani e agli immigrati per ragioni economiche: quest’ultimi rimarranno nei campi in Turchia o verranno riportati nei Paesi di origine?
L ‘accordo sembra un compromesso rispetto alle richieste più radicali della Turchia e sponsorizzato dalla Germania, dove Angela Merkel deve fronteggiare l’opposizione alla sua politica sull’immigrazione da parte della Csu bavarese, membro della coalizione di governo, i deludenti risultati delle recenti elezioni in alcuni Laender e le notevoli difficoltà provocate dai nuovi immigrati. L’anno scorso la Germania ha accolto più di un milione di immigrati, circa il 40% provenienti dalla Siria, e sono quindi comprensibili le tensioni all’interno del Paese. Anche se una buona parte di questi immigrati viene ritenuta utile per le necessità del sistema economico tedesco, l’afflusso di massa di questi ultimi tempi rischia di non consentire a Berlino la necessaria “selezione”.
Da un altro lato, l’accordo viene letto come una sconfitta politica della Merkel, costretta in un certo senso a fare marcia indietro, passando dal suo iniziale “We can do this” (lo possiamo fare) all’attuale “We can’t do this any longer” (non possiamo continuare a farlo), come maliziosamente ha scritto il Financial Times.
Più chiaro è il successo della strategia della Turchia di Erdogan, che ha usato la tragedia dei profughi come un’arma per ottenere finanziamenti, la liberalizzazione dei visti all’interno dell’Ue per i cittadini turchi e la ripresa delle trattative per l’associazione all’Unione Europea. Bruxelles per il momento ha promesso di velocizzare il pagamento ad Ankara di 3 miliardi di euro, ma la Turchia ne ha chiesti altri 3 e il premier Davutoglu ha dichiarato che il suo governo ha già speso più di 7 miliardi per l’assistenza agli immigrati.
Secondo le cifre ufficiali, la Turchia ospita 2,7 milioni di rifugiati siriani, un numero molto alto, ma su una popolazione di circa 75 milioni; il Libano ospita 1,2 milioni di profughi secondo l’Onu (il governo locale parla di 1,6 milioni) in un Paese di quattro milioni e mezzo di abitanti e da decenni alle prese con il problema dei profughi palestinesi, mentre in Giordania i rifugiati registrati dall’Onu ammontano a più di 1,5 milioni contro una popolazione di circa 6 milioni (la Giordania parla di 2,9 milioni di rifugiati contro 6,5 milioni di giordani). L’emergenza sembrerebbe quindi più urgente in questi due Paesi e perfino l’Onu ha invitato Bruxelles a prestare loro aiuto finanziario come ha deciso di fare con la Turchia.
Dal panorama risultano assenti l’Arabia Saudita, il Qatar e gli Stati del Golfo, molto restii ad intervenire finanziariamente e altrettanto ad ospitare profughi, nonostante la comune lingua e cultura dovrebbero facilitare tale ospitalità.
I caratteri autoritari impressi da Erdogan al governo della Turchia stanno facendo inoltre sorgere preoccupazioni sul reale rispetto dei diritti umani dei profughi respinti, così come i frequenti cambiamenti di posizione del presidente turco lasciano dubbiosi sulla possibilità che l’accordo regga fino in fondo senza altri “rilanci”. Si teme anche un utilizzo politico delle procedure di attribuzione dello status di rifugiati, per esempio discriminatorio nei confronti di curdi o di altri invisi ad Ankara.
Un altro aspetto problematico dell’accordo è che può spingere altri Stati ad usare l’arma dei profughi per raggiungere propri obiettivi con l’Unione Europea, utilizzando magari anche le immagini di bambini, come nel caso di Aylan o della nascita del bimbo di Idomeni. Le immagini e i racconti sui 14mila profughi bloccati alla frontiera con la Macedonia in condizioni di vita impossibili stanno attirando sul governo balcanico gli strali dell’opinione pubblica europea. La risposta macedone è stata piuttosto dura, con il presidente Gjorge Ivanov che ha accusato l’Ue di non aver saputo prevedere la catastrofe umanitaria, né di essere stata in grado di gestirla: “La Macedonia sta difendendo l’Europa dall’Europa stessa”, ha affermato.
Un’intemerata che ricorda quella di Erdogan contro l’Europa: “L’Ue guardi ai suoi limiti prima di dire alla Turchia cosa fare con i migranti”, ma non è la sola analogia, perché anche la Macedonia sta usando la situazione per accelerare le procedure di associazione all’Ue e la sua entrata nella Nato. E la lista potrebbe allungarsi.