La radicalizzazione nelle periferie di Bruxelles, dove martedì due attentati hanno provocato 32 morti e 270 feriti, non è un fenomeno spontaneo né recente. All’origine ci sono ingenti investimenti dell’Arabia Saudita, che ha erogato generose donazioni allo Stato belga in cambio della concessione di terreni per moschee e centri islamici che sono sorti come funghi tra la fine degli anni 60 e gli anni 70. Lo spiega Camille Eid, intellettuale libanese residente in Italia e giornalista di Avvenire, secondo cui gli imam di queste moschee sono stati poi mandati a istruirsi in Arabia Saudita dove hanno appreso la versione wahabita dell’islam, quella più rigorosa e tradizionalista, in modo da esportarla nel cuore dell’Europa.



Professore, Bruxelles è stata colpita in quanto sede delle istituzioni Ue o perché ospita banlieue molto islamizzate?

Entrambi gli elementi giocano un ruolo. In alcuni quartieri di Bruxelles c’è un tasso abbastanza elevato di popolazione islamica, che a Molenbeek arriva al 40/45 per cento. C’è una concentrazione che facilita anche dal punto di vista logistico l’azione di eventuali jihadisti disposti a compiere attentati. L’Isis ne ha quindi approfittato per colpire Bruxelles, che è una città simbolo in quanto capitale europea. Nonostante un centinaio di perquisizioni in quattro mesi, la polizia belga è riuscita ad arrestare Salah Abdeslam soltanto venerdì.



Perché a Bruxelles si è sviluppato questo radicalismo?

Bruxelles ha una tradizione di comunità islamiche che vengono dalla Turchia o dal Marocco. La presenza musulmana in Belgio risale almeno agli anni 60, quando era presente un gruppo di immigrati che lavoravano nelle miniere. Questo fenomeno è cresciuto nel tempo concentrandosi in alcune zone.

Lo Stato belga come ha gestito questo fenomeno?

Negli anni 70 il Belgio è stato il primo Paese europeo a riconoscere ufficialmente la religione islamica, insieme a cattolicesimo, ortodossia, anglicanesimo, protestantesimo e giudaismo. E’ iniziata da qui la moltiplicazione delle moschee e dei centri islamici, gestiti quasi esclusivamente dall’Arabia Saudita. Il re Baldovino ha sempre avuto buoni rapporti con i sauditi ed ha quindi cercato di accontentarli, secondo alcuni in cambio di rifornimenti petroliferi. Altri attribuiscono la generosità delle istituzioni belghe verso i musulmani a una donazione dell’Arabia Saudita in occasione di un grande incendio avvenuto a Bruxelles nel 1967.



Che cosa è avvenuto da quel momento in poi?

Da quel momento i centri islamici si sono moltiplicati, e l’Arabia Saudita ha avviato una politica attiva con la distribuzione di libri islamici e di borse di studio per formare imam. Questi ultimi andavano a studiare in Arabia Saudita, quindi tornavano in Belgio e così le idee wahabite hanno cominciato a prendere terreno. Si è arrivati a creare centri salafiti e jihadisti. Ne è un esempio il gruppo “Sharia4Belgium”, che manifestava tranquillamente nelle piazze di Bruxelles per chiedere di instaurare la Sharia.

Perché l’integrazione nei sobborghi del Belgio è fallita?

Il processo in atto in questi sobborghi fa sì che quando un cittadino belga vede che la metà degli inquilini del suo palazzo sono musulmani, è tentato di abbandonarlo per andare altrove. Questo trasforma alcuni quartieri automaticamente in ghetti. Quando la popolazione immigrata diventa concentrata, e non distribuita sull’intero territorio nazionale, la tendenza diventa quella di parlare la loro lingua d’origine. L’integrazione diventa così un concetto astratto.

 

Come si può combattere il radicalismo delle banlieue?

Ci vogliono sia il “bastone” dell’intelligence sia la “carota” dell’educazione. E’ inoltre indispensabile una politica migratoria meno permissiva: troppe concessioni non favoriscono l’integrazione.

 

L’islam belga ha dei legami diretti con l’Isis?

Sì. Il Belgio ha il più alto numero di foreign fighter in Europa, si parla di oltre 400 partiti per Siria e Iraq. Su 33 di loro che sono stati individuati, provenivano tutti da Anversa o da Vlvoorde. Ma ancora prima della nascita dell’Isis, in Belgio si contavano già 11 partiti islamisti. Uno di questi, chiamato Partito Cittadinanza e Prosperità (PCP), lottava per diffondere idee che si contrappongono completamente ai valori europei di libertà, democrazia e pluralismo.

 

Quali altre città europee hanno dei ghetti simili a quelli di Bruxelles?

Elevate concentrazioni di musulmani si registrano soprattutto a Londra e Manchester. In altre città europee ci sono invece diversi quartieri popolati da arabi cristiani. In Francia per esempio c’è Sarcelles, nell’Ile-de-France, popolata da assiri e caldei. In Svezia è famosa la cittadina di Sodertalje, a sud di Stoccolma, un terzo dei cui abitanti sono cristiani mediorientali, tanto da essere soprannominata Mesopotaljie. E per lo stesso motivo, negli Usa un quartiere di Detroit a partire dal 1999 è stato ribattezzato Chaldean Town.

 

(Pietro Vernizzi)